Il caso Banche Popolari e la “stampa renziana”

Lo scandalo è l’assenza di scandalo. La Procura della Repubblica di Roma apre un’inchiesta sulle speculazioni e sul presunto aggiotaggio che hanno preceduto e seguito il decreto sulle Banche Popolari varato dal Governo. Di fronte a questa notizia scatta la gara a chi la minimizza meglio, la nasconde con maggiore perizia, si affretta a comunicare le giustificazioni dei principali sospettati e tiene comunque a mettere in luce che il decreto sarà stato pure approvato dal Consiglio dei ministri, ma che il Governo ed alcuni suoi autorevoli componenti non c’entrano nulla nella vicenda.

Se il Paese fosse immerso in una cultura garantista nessuno si stupirebbe di questa difesa attenta e decisa della presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione. Tutti sarebbero ben felici di registrare che l’avvio di una inchiesta da parte della magistratura non provoca l’automatica partenza di una campagna di gogna mediatica nei confronti di chi può essere sospettato di aver potuto ottenere dei benefici non legali dal provvedimento preso dall’Esecutivo. Ma sono anni che il Paese è dominato da una cultura giustizialista che in nome del principio di legalità s’impone di non far sconti a nessuno. Non passa giorno che una qualsiasi inchiesta di qualsiasi pubblico ministero non scateni feroci linciaggi mediatici contro gli indiziati di reato e che, a dispetto delle norme costituzionali, non si celebri il trionfo della presunzione di colpevolezza ai danni di qualsiasi malcapitato.

Allora è questa contraddizione, così aperta, palese, dichiarata e sfacciata, che deve suscitare una grande inquietudine. Non perché la vicenda sia un esempio di come nel nostro Paese ci sia le tendenza ad essere garantisti con gli amici e giustizialisti con i nemici. E perché in questo modo si celebri ancora una volta il rito del doppiopesismo e della doppia morale tipico di un Paese degradato e senza valori. Ma perché questo comportamento della grande stampa d’informazione e dei grandi media costituisce una dimostrazione fin troppo preoccupante che i timori di deriva autoritaria presenti in Italia non sono affatto infondati.

Il silenzio compiacente degli organi d’informazione nei confronti di vicende che possono incrinare il volto del potere, costituisce la conferma che la deriva non è affatto peregrina ma già abbondantemente in atto. La spia dell’involuzione di stampo autoritario non è la censura, che probabilmente non c’è e se c’è è sicuramente sottotraccia. È l’autocensura, quella che i media applicano a se stessi spontaneamente, come segno di rispetto, condivisione, allineamento e subordinazione ad un potere che si considera destinato a rimanere saldo e stabile nel tempo.

È la stampa, bellezza! Ma non quella della democrazia matura ma quella che sulla base di un modello mai dimenticato come quello del “deprecato ventennio” diventa renziana. Per conformismo e per utilità!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12