Raffaele Fitto tra quote   e democrazia interna

In apparenza la richiesta di Raffaele Fitto di azzerare tutte le cariche interne ed applicare dentro Forza Italia il principio dell’elezione da parte della base dei quadri dirigenti del partito non fa una grinza. Non è forse vero che uno dei problemi irrisolti del nostro sistema politico è quello di applicare il metodo democratico non solo tra i partiti ma anche, come chiedeva alla Costituente Costantino Mortati, all’interno dei partiti?

Ma sotto l’apparenza non c’è la richiesta di far entrare il metodo democratico all’interno di un partito che, come tutti gli altri, ha sempre preferito adottare il metodo della cooptazione dall’alto a quello dell’elezione dal basso. In realtà non c’è un bel nulla. A parte una generica indicazione in favore delle elezioni primarie.

Ma le primarie indistinte ed indefinite possono essere considerate un “metodo democratico”? I fallimenti clamorosi delle primarie senza regole che si sono verificati all’interno del Partito Democratico indicano che per passare dalla cooptazione dall’alto all’elezione dal basso è necessario fissare regolamenti precisi e, soprattutto, applicabili a tutte le formazioni politiche. Ci vuole una legge, in sostanza, che stabilisca come, quando e con quali meccanismi il metodo democratico debba essere applicato all’interno dei partiti. Se non c’è una legge, frutto delle esperienze concrete e non solo delle suggestioni momentanee provenienti dagli Stati Uniti (quelle che colpirono a suo tempo l’americano a Roma, Walter Veltroni), si hanno le primarie condizionate dal voto dei cinesi, dei rom, dei militanti dei partiti avversi e, peggio del peggio, dei clientes di lobby, consorterie varie e mafie locali e nazionali.

Senza una legge sul metodo democratico, in sostanza, la vita interna dei partiti torna ad essere il terreno dove la sola alternativa all’anarchia è rappresentata dalla cooptazione dall’alto compiuta da chi ha più forza degli altri.

Nessuno pretende che Fitto elabori una legge che gli consenta di fare la scalata democratica a Forza Italia. Ma, in attesa che qualcuno lo faccia al posto suo, sarebbe più credibile se accettasse ed applicasse le poche regole, non di democrazia ma di convivenza, esistenti all’interno di un partito dove tutti i suoi dirigenti hanno da sempre non solo accettato ma anche applicato con grande soddisfazione personale la regola della cooptazione. Per passare da un metodo all’altro bisogna rifiutare l’uno ed indicare con precisione l’altro. E rifiutare non significa criticare a parole, ma anche nei fatti. Altrimenti diventa troppo comodo criticare da designati in Parlamento chi designa. Comodo e rischioso. Perché ingenera il sospetto che in realtà non si voglia contestare la cooptazione, ma si cerchi soltanto di blindare per il futuro la designazione propria e del proprio gruppo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17