
Le vittorie di Pirro preparano le sconfitte. E quella del Quirinale, realizzata con il metodo dell’arroganza e della spregiudicatezza ormai diventato il tratto distintivo di Matteo Renzi, ha tutte le caratteristiche per rientrare nel novero delle vittorie fasulle.
Gli entusiasti sostenitori del Premier non fanno altro che sottolineare con soddisfazione come Renzi abbia sbaragliato il campo dentro e fuori il proprio partito e la maggioranza, “asfaltando” con furbizia e durezza chiunque si sia messo sulla sua strada. Ma tanta soddisfazione e tanta esaltazione sono decisamente fuori luogo. Perché il leader del Partito Democratico avrà pure asfaltato la sinistra interna, Scelta Civica, il Nuovo Centrodestra, Forza Italia ed il Movimento Cinque Stelle. Ma, nel farlo, con il suo stile da aspirante autocrate che non si limita a battere gli avversari ma si diverte anche ad irriderli e ad umiliarli, ha suscitato tali e tanti risentimenti da aver radicalmente cambiato il presupposto su cui poggia il suo attuale potere.
Prima della battaglia del Quirinale questo presupposto era l’impegno di un largo schieramento, formato dalla maggioranza di governo e da Forza Italia, a portare avanti un programma di riforme utili al Paese. Questo programma era osteggiato dalla sinistra interna del Pd, ma aveva potuto contare su un consenso talmente ampio da far quasi dimenticare l’assenza di legittimazione elettorale del Presidente del Consiglio che se n’era fatto promotore.
Oggi, dopo la vicenda del Quirinale, il quadro è cambiato radicalmente. La sinistra Pd continua a manifestare la propria opposizione alle riforme di Renzi. E, anzi, approfitta di ogni occasione per far sapere che continuerà a fare di tutto per modificarle. Forza Italia si è liberata del fardello troppo oneroso del Patto del Nazareno e ha preannunciato che non farà più passare riforme non condivise. E nella maggioranza di governo due componenti, il Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, sono state praticamente triturate dal metodo arrogante e spregiudicato del Premier e chiedono entrambe un “chiarimento” dei rapporti con il Pd.
Il presupposto su cui si regge Renzi, quindi, non è più l’impegno per le riforme ma, come riconosce con un misto di sufficienza e di compiacimento lo stesso Premier, è l’istinto di sopravvivenza di una maggioranza che non vuole perdere le posizioni di governo e di una massa di parlamentari d’opposizione che vuole rimanere inchiodata alla propria poltrona fino al termine della legislatura, nella consapevolezza di non poterla più occupare in futuro.
Renzi, allora, che non è mai stato eletto dagli italiani e si trova a Palazzo Chigi solo per aver vinto una battaglia di potere nel Pd, guida il Paese senza alcuna legittimazione oltre quella della paura della perdita del posto di ministri, sottosegretari e parlamentari. Ed oltre a dover fronteggiare un’opposizione interna ben decisa a sfruttare a proprio vantaggio la fine del Patto del Nazareno, deve fare i conti nella maggioranza con un Nuovo Centrodestra e con una Scelta Civica costrette alla lotta nei suoi confronti per poter sopravvivere ed una Forza Italia che si ricandida a guidare il polo alternativo a quello della sinistra.
Renzi uomo solo al comando? Più che altro, un uomo solo!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:13