Milano chiama Lupi, ma Renzi interrompe

Un po’ come nel gioco dei quattro cantoni o, meglio ancora, del biliardo, la pallina della politica rimbalza di sponda in sponda per colpire o per andare in buca. Se colpisce. E se ci va. Così, le risposte di quelli del Nuovo Centrodestra all’assai poco felice battuta di Matteo Renzi sui “partitini”, hanno giocato di sponda per replicare al colpo del “napoleonico” vincitore politico del Quirinale. Ma con ragioni ed effetti diversi.

Sulla vittoria a mani basse di Renzi, diciamo che non ci piove, a parte, tuttavia, quella battuta al veleno non appartenente in pieno al frasario del vincitore tipo, di colui che nella vittoria mostra magnanimità e comprensione per sconfitti, morti, feriti e colpiti di striscio, come sono appunto quelli dell’Ncd. Capita, comunque, di lasciarsi andare nel tripudio del successo. E capita pure che i colpiti di striscio abbiano atteggiamenti diversificati, da Fabrizio Cicchitto a Nicola Di Girolamo allo stesso Angelino Alfano, il vero bersaglio a cui Renzi non perdonerà facilmente lo sgarbo della primigenia scheda bianca anche se si è limitato ad una frasetta vagamente intimidatoria su chi vuole andarsene: “Buon viaggio, nessuno ti tiene”.

Curioso è comunque notare che la replica più stizzita al pungiglione renziano sia stata quella di Maurizio Lupi. Curioso, ma fino ad un certo punto. Il capace ministro delle Infrastrutture ha rispedito seccamente al mittente la definizione di “cespugli” affibbiata dal Premier all’Ncd, ma si è capito subito che la seccatura di Lupi, più che derivante dalla riduzione a cespugli o tappetini, era motivata da una frasetta renziana nella quale si parlava di Milano, la sua città, di un dopo Pisapia e di un ministro Lupi (del governo Renzi) ipoteticamente indicato per la successione all’attuale sindaco. “Non sia mai”, ha tuonato Renzi, e a ruota il renziano Ernesto Carbone ha gettato altra benzina sul fuoco di questa ipotesi, liquidando “le mire di qualcuno di Ncd (Lupi, “ça va sans dire”) di fare il sindaco di Milano con Forza Italia”.

C’era materia per impennarsi, e Lupi lo ha fatto. Come? Come si faceva una volta (e si fa sempre) in politica: tacciando come stupidate simili ipotesi e negando di voler succedere a Giuliano Pisapia, perché “vuole contribuire come ministro (di Renzi) a cambiare con coraggio questo Paese”.

Non siamo su scherzi a parte, forse nelle vicinanze di Fedro de “La volpe e l’uva”, certamente nell’ambito di un futuro prossimo che sollecita non solo Lupi e Ncd ma tutto il centrodestra, Matteo Salvini compreso, una riflessione su Milano e su quanto vi accadrà. Tra l’altro, l’ipotesi di un Lupi candidato a succedere a Pisapia non è campata per aria anche alla luce delle più volte accennate voglie di disimpegno di Pisapia che, secondo voci attendibili, aspirerebbe molto di più alla Corte Costituzione che a succedersi a Milano. Ma tutte queste sono, appunto, ipotesi (per ora) del terzo tipo. La realtà milanese (se non lombarda) non è invece un’ipotesi, ma una realtà. Dura, durissima, per il centrodestra. Nella città dov’è nata Forza Italia, culla prima del socialismo craxiano e poi del berlusconismo capace di mixare le culture rimaste orfane, e dei vari sindaci, da Gabriele Albertini a Letizia Moratti, si vive una situazione politica che definire da “deserto dei Tartari” è ancora poco, ed è comunque insufficiente a dare il senso di silenzio politico, di desertificazione, di assenza sulla scena, di mancanza di iniziative e di proposte del centrodestra che fu e che, si badi bene, aveva il suo perno su Forza Italia come fonte battesimale dei sindaci.

La parallela Regione Lombardia mutuava il percorso milanese, almeno fino all’Era di Roberto Formigoni. Dopo, il diluvio, la crisi del berlusconismo e il crollo verticale dei consensi per quell’area sottoposta a scissioni su cui si è affacciata la nuova leadership di Salvini come ulteriore elemento divisivo. Salvini ha capito la profondità e vastità di questa crisi e l’ha affrontata e l’affronta con la prepotenza di colui che deve innanzitutto far dimenticare i penosi flop della Lega secessionista, spingendosi sempre più su un versante di destra che ripudia i riti celtici e separatisti in favore di un radicalismo anti euro, pro flat tax al 15 per cento, contro Schenghen, con venature lepeniste e xenofobe temperate da simpatie umorali per Alexis Tsipras e Podemos.

Un Matteo contro Matteo che fa il gioco di uno solo, quello di Palazzo Chigi. Intanto, Matteo Salvini ha un cocktail che sa agitare con brio per servire ad un pubblico che, attenzione, non è soltanto il suo, ex leghista, antieuropeo, antimoschee, populista, ma anche o potenzialmente ex Forza Italia ed ex Ncd. Insomma, una platea facilmente influenzabile e uno schieramento di centrodestra a Milano che non potrà non essere connotato dall’irruenza di Salvini, che, peraltro, ha alle spalle un partito organizzato militarmente, unito, ruspante e arrembante.

Ecco perché l’idea di un Lupi contrapposto, grazie alla sua biografia politica come ex assessore di Albertini, al suo curriculum come ottimo ministro, e alla sua tradizione cattolica come Cl, è, anzi, sarebbe un’ipotesi interessante, un’oasi nella traversata del deserto del fu centrodestra. Ipotesi interessante e dunque pericolosa per il Pd, al punto da scagliarvi sopra una fatwa da Palazzo Chigi: non illuderti, caro Maurizio, di pensare di fare il candidato a sindaco di Milano stando al governo con me, che sono, non dimenticarlo mai, il segretario del Pd che ha le sue idee e le sue ipotesi sul futuro di Milano, clamorosamente collidenti con le tue. Metti questi sogni nel cassetto, oppure...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:16