Stefano Gaj Taché:  vittima del terrorismo

“Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Gaj Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.

Stefano Gaj Taché, il bambino ebreo di due anni ucciso il 9 ottobre 1982 davanti alla Sinagoga di Roma da un commando di una fazione di terroristi palestinesi dell’Olp di Yasser Arafat, da oggi è stato quindi, e finalmente, riconosciuto come una vittima del terrorismo in Italia. Anzi, come la vittima per antonomasia. Visto che l’inserimento e il riconoscimento arrivano dal capo dello Stato, appena insediato con il giuramento davanti al Parlamento in seduta comune, nel su citato passaggio del proprio discorso.

Una vera e propria mossa a sorpresa, che rompe così un tabù durato oltre trenta anni. Questo piccolo bambino ebreo infatti non solo è morto per la ferocia dei terroristi palestinesi dell’epoca, che non usavano neanche il paravento del fanatismo islamico per uccidere con la stessa ferocia che oggi usano i guerriglieri di Hamas o i tagliagole dell’Isis, ma è stato per anni oggetto del boicottaggio politically correct di una parte della sinistra (come anche della destra cosiddetta sociale e di un certo tipo di cattolicesimo terzomondista): una vittima di serie B, non degna di essere menzionata tra quelle del terrorismo in Italia. Tanto è vero che per anni ci sono stati deputati come Fiamma Nirenstein, corrispondente da Israele per “Il Giornale” e “Panorama”, che si sono invano battuti per fare inserire il nome del piccolo Stefano Gaj Taché tra quelle vittime di cui si legge il nome il 9 maggio. Data da tempo eletta a giornata nazionale delle vittime di ogni terrorismo nel nostro Paese. Scelta simbolicamente nel giorno dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.

Oggi il tabù è caduto e questo passaggio del discorso di insediamento di Mattarella vale da solo tutte le altre pagine, che contenevano per lo più cose scontate. Una vera novità che sicuramente gli attirerà pure le critiche di quei giustificazionisti di sinistra, e non solo, del terrorismo arabo-islamico, e segnatamente palestinese, contro i civili ebrei nel mondo e nello stato di Israele.

Il 9 ottobre 2011 il fratello di Stefano, Gadiel Taché, rilasciò una memorabile intervista a Pierluigi Battista al Corriere della sera, lamentando l’ostracismo verso questa vittima che si faticava a riconoscere come tale. Nel titolo si ricordava anche “quando i politici flirtavano con Arafat”.

L’attentato alla Sinagoga in cui perse la vita il piccolo Taché maturò all’epoca in un clima di odio internazionale fomentato dalle organizzazioni di sinistra, anche eversive, favorevoli alla causa palestinese. Era l’epoca della prima guerra del Libano, quella condotta da Sharon. C’era stato il massacro di Sabra e Chatila perpetrato dai falangisti traditori di Elie Hobeika (come ha rivelato la sua guardia del corpo nel libro “From Israel to Damascus”) pagati dalla Siria per fare ricadere la colpa su Sharon il 16 settembre precedente all’attentato alla Sinagoga. E quell’attentato arrivò due giorni dopo una manifestazione sindacale promossa dalla Cgil dell’epoca che finì con un macabro episodio: la deposizione di una bara vuota davanti al tempio Maggiore.

Due giorni dopo ci fu la sparatoria in cui perse la vita Stefano Gaj Taché. Il commento dei pochi amici di Israele dell’epoca fu il seguente: “Ecco adesso quella bara vuota è stata riempita... saranno contenti...”. Le indagini su quell’attentato in Italia furono poca cosa. E proprio nella su citata intervista era stato Gadiel Taché a sintetizzare il corso degli eventi: “L'assassino Abdel Al Zomar, condannato all'ergastolo dalla giustizia italiana, ha vissuto indisturbato nella Libia di Gheddafi dopo essere stato consegnato ai libici dalla Grecia a metà degli anni Ottanta: So che in tutti questi anni l'Italia è stata molto blanda nel chiedere l'estradizione di Al Zomar. Adesso si trincerano dietro cavilli formali. Con Gheddafi al potere, fino all'ultimo nessuno ha preteso che gli assassini di mio fratello fossero assicurati all'Italia”.

In effetti Osama Abdel Al Zomar venne arrestato in Grecia il 20 novembre 1982, poiché nella sua auto, con la targa di Bari, era stato trovato un carico di esplosivo in seguito ad un controllo di frontiera al valico di confine con la Turchia di Kipri-Evrov. Le autorità di polizia italiane avevano condotto delle indagini che portarono, grazie a vari riscontri ed alla testimonianza della sua fidanzata italiana, a identificare nello stesso Al Zomar uno dei responsabili dell'attentato del 9 ottobre del 1982. Dopo aver scontato un periodo di detenzione non lungo nelle carceri greche per una condanna legata al traffico di armi , il terrorista fu poi rilasciato, e si recò in Libia, nonostante le timide richieste di estradizione avanzate dall'Italia al governo greco. Nel 1991 sarebbe stato condannato in contumacia per il reato di strage dalla Corte d'appello di Roma. Risulta sia restato in Libia fino alla caduta del regime di Gheddafi. Poi se ne sono perse le tracce.

Secondo le informazioni dell’intelligence italiana, la fazione che portò a compimento l’attentato alla Sinagoga, riempiendo la bara vuota lasciata due giorni prima al termine di quella ignobile manifestazione sindacale davanti al Tempio Maggiore, sarebbe stata quella di Abu Nidal. La stessa che si macchiò, con un commando di cui era a capo Abu Abbas, del sequestro della Achille Lauro il 7 ottobre 1985 (ironia delle sorte stessa data, tre anni dopo, di quella vergognosa manifestazione sindacale di cui sopra, ndr) e dell’omicidio di Leon Klinghoffer, l’ebreo americano paraplegico che fu ucciso e buttato a mare con tutta la carrozzina a rotelle. Con i soliti metodi nazisti che hanno sempre usato i terroristi palestinesi, islamici e non.

Oggi il neoeletto presidente Mattarella, citando il nome di Stefano Gaj Taché come simbolo di tutte le vittime del terrorismo in Italia, oltre a compere un gesto veramente “rivoluzionario”, fa una cosa sicuramente giusta che gli porterà la stima e la simpatia di tutti gli ebrei italiani e mondiali. E, di conseguenza, l’antipatia , se non l’odio, dei troppi fiancheggiatori e dei troppi simpatizzanti italiani e internazionali del terrorismo islamico. E, forse, il prossimo 9 maggio il nome del piccolo Stefano sarà letto tra quelli che enumerano le centinaia di vittime del terrorismo in Italia negli ultimi 45 anni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:11