Non c’è nessuna luce in fondo al tunnel

Dopo quasi un anno di Governo Renzi, sono sempre più convinto che sarebbe stato meglio per noi restare sotto l’ombrello del democristiano Enrico Letta, piuttosto che farci prendere per i fondelli a giorni alterni dal ben più spregiudicato democristiano che lo ha slealmente defenestrato.

Tra l’immobilismo lettiano del cacciavite e quello renziano destinato inesorabilmente a rincorrere Tsipras lungo la strada della spesa facile e dei debiti, non ho alcun dubbio che avrei preferito la prima opzione quale male minore. Ovviamente non sono di questo avviso gli estimatori del genio della lampada fiorentino i quali, nel corso dell’assemblea dei parlamentari democratici in cui il segretario ha ufficializzato la candidatura di Sergio Mattarella al Colle, saranno andati in brodo di giuggiole nell’ascoltare il loro beniamino mentre annunciava alcuni incoraggianti segnali di ripresa economica.

Così come fece Mario Monti tre anni orsono, che vedeva la luce in fondo al tunnel – quando in realtà era semplicemente il treno della crisi che ci stava travolgendo – il grande rottamatore ha dichiarato con notevole sicumera che “l’Italia sta ripartendo!”. Egli ha parlato di incoraggianti segnali macroeconomici che per ora esistono solo nella sua fantasia. In realtà, citando il Quantitative easing varato dalla Bce tra le sue “vittorie” europee, appare assai probabile che il volpino sleale di Palazzo Chigi ritenga che l’ondata di nuova moneta iniettata nella zona euro da Mario Draghi riuscirà finalmente a dare quella scossa benefica che lui, con i famigerati 80 euro, non è clamorosamente riuscito ad imprimere. E dunque, ansioso di potersi intestare gli effetti della manovra keynesiana messa in piedi dalla Bce, Renzi annuncia una ripresa del tutto presunta. E tale resterà, presunta, se il sistema economico nel suo complesso non verrà posto nelle condizioni di sfruttare l’ennesimo stimolo finanziario (non dimentichiamoci il mega prestito di mille miliardi, a cavallo tra il 2011 e il 2012, in favore del sistema bancario europeo ad un tasso dell’1%) realizzato dall’Istituto che ha sede a Francoforte.

In estrema sintesi, il rischio molto reale è che, analogamente a quello che è accaduto con il citato pompaggio di liquidità in favore delle banche italiane, poco o nulla di ciò raggiunga imprese e famiglie, per il semplice fatto che queste ultime, permanendo un sostanziale clima di sfiducia, non hanno alcun incentivo a richiedere prestiti e finanziamenti per qualunque forma di investimento a medio e lungo termine.

D’altro canto, all’interno di un feroce sistema fiscale e burocratico che assorbe come un buco nero, secondo calcoli aggiornati, ben il 57% delle risorse prodotte ogni anno, nessuno stimolo alla domanda può determinare una ripresa della produzione se i proventi di quest’ultima, ad ogni livello della filiera economica, finiscono in gran parte per alimentare una spesa pubblica perennemente fuori controllo.

Così come il crescente eccesso di tassazione sui consumi e sull’acquisto di beni durevoli non può certamente indurre i soggetti privati a modificare la loro attuale scarsa propensione alla relativa spesa, con o senza Qe. Quantitative easing che, proprio per tale motivo, in assenza di vere riforme orientate a ridurre l’insostenibile peso dello Stato, finirà inesorabilmente per alimentare la già alta propensione dei rottamatori al potere a comprarsi il consenso con la spesa pubblica e i debiti – la flessibilità tanto invocata da Matteo Renzi.

Ma per quanto riguarda una ripresa vera ed equilibrata dell’economia, dovremmo necessariamente continuare ad immaginarcela, soprattutto se il vento che soffia dalla Grecia – il quale ha già fatto sentire i suoi sinistri effetti nella scelta dell’inquilino del Quirinale – spingerà il nostro ineffabile Premier verso una china ancor più irresponsabile sul piano finanziario. Dal camaleonte fiorentino c’è da aspettarsi di tutto, tranne che egli tagli seriamente le tasse e la spesa pubblica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:18