
Insomma, riassumiamo: due ragazzotti dei sobborghi francesi scoprono la fede islamica dopo aver fatto i rapper, partono per i campi di addestramento in Medio Oriente, diventano degli jihadisti, combattono in Siria, tornano tranquillamente in Francia, vengono arrestati ed attenzionati dai servizi per terrorismo, escono di prigione, riescono a trovare delle armi e, spalleggiati da due complici, hanno la libertà di fare una serie di attentati sanguinosi tenendo sotto scacco ottantamila uomini per più di due giorni.
Nel frattempo trovano il tempo per compiere degli atti goffi (oltre che sospetti) che stridono molto con la loro preparazione militare: lasciano telefoni fuori posto, dimenticano documenti in macchina, perdono scarpe e rilasciano interviste ad emittenti radiofoniche poco prima di essere ammazzati (che non manchi mai lo spettacolo, il trucco, il parrucco e Maria De Filippi). Con fatica vengono quasi tutti annientati e l’epilogo è il classico “vissero tutti felici e contenti” con manifestazioni ipocrite, popolate proprio da alcuni di quei capi di stato e di governo che negli anni passati hanno foraggiato l’Isis. Una bella dichiarazione alla stampa, qualche foto di gruppo e via ad assistere ancora impassibili e dubbiosi al sangue che scorre in nome di Maometto. Ma perché tutta questa timidezza? Perché ancora una volta l’Occidente cerca una buona scusa per non guardare alla realtà, affermando finalmente che c’è un’offensiva islamica in atto?
L’Occidente è attraversato da una serie di impulsi che hanno in comune solo una cosa: fanno più paura dei fondamentalisti perché lo rendono imbelle per causa propria, quasi non convinto di stare dalla parte giusta. Il panorama è assortito anche se prevalgono sentimenti di buonismo ideologico che ci portano a cercare mille scuse per fare distinguo tra moderati e terroristi, giustificando gli atti di violenza quasi come se avessimo gli stessi assurdi sensi di colpa che pervadevano la nostra società negli anni Settanta, quando le Brigate Rosse erano solo compagni che sbagliavano.
La nostra prima preoccupazione di fronte al sangue è quella di tracciare una divisione netta tra i musulmani ed i fondamentalisti, proteggendo i primi dai rigurgiti di presunto odio fascista, come se non fosse chiaro anche a destra che non tutti i musulmani sono terroristi ma tutti i terroristi, almeno negli ultimi anni, sono musulmani (quest’ultima cosa è poco chiara a sinistra). E allora ci si affanna a trovare simboli strumentali che supportino il costrutto: il poliziotto trucidato dai terroristi sotto il Charlie Hebdo si chiamava Ahmed ed era musulmano così come lo è il dipendente del supermercato ebraico (originario del Mali) che ha salvato cinque avventori del locale assaltato da un fiancheggiatore dei fratelli Kouachi.
Qualcuno mi spieghi cosa c’è di anti jihadista nella tragica morte di un poliziotto che non avrebbe voluto essere là e che nemmeno ha potuto spiegare le proprie ragioni o la propria fede. Stessa cosa vale per il dipendente del negozio ebraico che non ha certo pensato alla fede dell’attentatore (o alla propria) quando ha ritenuto opportuno, insieme ad alcuni clienti, rifugiarsi in una cella frigorifera e salvare le terga. Questo atteggiamento anacronistico, frutto marcio del mondialismo dottrinale, trova la propria sublimazione radical chic anche nella teoria del dialogo, come se le schegge impazzite che seminano terrore sotto la protezione dei soliti Stati canaglia (alcuni dei quali vorremmo addirittura annettere all’Europa), fossero minimamente interessate ad ascoltare le nostre ragioni.
I goffi teorici del confronto piacciono tanto ai salotti buoni e proprio non capiscono la gravità del momento se ancora continuano a fare dell’onanismo intellettuale con annessa esibizione di analisi (tanto profonde quanto inutili) che svariano dalla politologia alla sociologia, passando per gli scenari internazionali, per poi sfociare nel buio pesto. Il discorso è molto più complesso dell’ottusa belligeranza muscolare, dicono. Tanto complesso che neanche loro riescono a capirsi e si affannano in ragionamenti arzigogolati e privi di senso pratico.
Mentre noi facciamo quelli dialoganti “de curtrura” che “ce capiscono”, gli integralisti seminano il terrore sotto gli occhi indifferenti del cosiddetto Islam moderato il quale, oltre a qualche predicozzo d’ufficio, non è che ponga in essere tutti questi atti concreti per isolare i facinorosi. In tutto questo fa capolino anche il sentimento di paura, comprensibile per una società che fa finta di non vedere una guerra, portata fin sotto casa propria, per paura di doverla combattere, per indolenza, per codardia e per timore di avere qualcosa da perdere.
La società occidentale è attonita, rammollita, benestante, ingrassata, ubriaca e corrotta al punto tale da farsi sopraffare senza muovere un dito. Questo stato di cose va sotto il nome di civiltà. E la risposta della politica? I soliti tweet, le solite sfilate per la libertà di espressione e la solita solfa sulla necessità di nuove leggi contro il terrorismo. Oggi siamo tutti libertari e Charlie perché ci conviene, mentre ieri davamo del cretino a Calderoli per la maglietta sulle vignette islamiche, ci prendevamo a colpi di querele se scappava qualche insulto sui giornali o, come la Boldrini, mandavamo la polizia postale a reprimere il dissenso palesato via internet. La verità è che non siamo convinti neanche un po’ di ciò che diciamo e non abbiamo il coraggio di ammettere che, per voglia di apparire cittadini del mondo, abbiamo fatto un errore da provincialotti. Abbiamo voluto la globalizzazione pensando che loro si mischiassero a noi e che si avverasse il sogno multiculturale. Adesso che loro si sono confusi tra di noi (non mischiati) sovente solo per prendere il sopravvento, abbiamo la necessità di combattere una guerra sporca, forse anche ai confini con la legge ma non riusciamo a trovare l’unità ed il fegato per controllare discretamente e capillarmente il territorio facendo prevenzione senza troppe pippe. Siamo bravi a condannare soprattutto noi stessi dicendo che, in fondo, ce la siamo cercata. Agli stragisti invece quasi chiediamo scusa. Questo atteggiamento fa paura.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12