
Si è detto, con molta retorica, che le stragi di Parigi rappresentano per l’Europa ciò che l’11 settembre ha costituito per gli Stati Uniti. E che dopo i venti morti provocati nella capitale francese da un nucleo di combattenti islamici votati al martirio, anche il Vecchio Continente, così come l’America del 2001, è costretto a prendere dolosamente atto di essere oggetto di una guerra non dichiarata ma terribilmente drammatica e sanguinosa.
Può essere che questo improvviso e brutale risveglio di fronte ad una realtà che nessuno poteva immaginare valga per la Francia. È probabile che di fronte al trauma parigino i francesi delle masse popolari accentuino una consapevolezza che già sembravano avere. Ed è possibile, anche se meno scontato, che non solo il popolo ma anche le sue classi dirigenti e soprattutto le sue élites intellettuali incomincino a prendere coscienza del conflitto in atto. Ma siamo certi che questo risveglio e questa presa d’atto una realtà così orribile si compia anche nel nostro Paese?
I segnali che giungono in continuazione indicano che quanto è avvenuto a Parigi sia servito soltanto ad allargare la già incredibile distanza che separa i gruppi dirigenti ed intellettuali italiani dalle fasce popolari. Queste ultime sono sicuramente in preda ad una paura crescente per i pericoli sempre più incombenti del terrorismo che proviene dalla sponda Sud del Mediterraneo e che ai loro occhi appare alimentato da un’immigrazione sempre meno controllata se non addirittura favorita.
Matteo Salvini e la sua Lega sta cavalcando alla grande quest’onda emozionale. Ma i gruppi dirigenti e la casta di intellettuali loro dipendenti non solo appaiono ben decisi a continuare nel loro sonno della ragione, ma stanno compiendo ogni possibile sforzo per perpetuare all’infinito questo stato di incoscienza. Non per seguire l’esempio degli struzzi e negare la realtà nascondendo la testa sotto la sabbia. Ma per conservare ad ogni costo ed a dispetto di qualsiasi realtà il quadro di certezze ideologiche che hanno ereditato dal cattocomunismo italiano degli anni passati. La conferma più clamorosa è venuta dalla tempestività con cui l’attenzione dell’opinione pubblica è stata spostata dai gruppi dirigenti e dai loro media dalla realtà dell’aggressione del terrorismo islamista all’astrattezza della distinzione tra Islam “buono” ed Islam “cattivo”. Come se l’esistenza di islamici niente affatto disposti al martirio per imporre la propria religione sugli infedeli, realtà che nessuna persona raziocinante può negare esserci in Italia, in Europa o negli stessi paesi arabi, possa cancellare o porre in posizione subordinata il dato incontestabile della guerra in corso scatenata dall’estremismo islamista per ragioni politiche, economiche, culturali e religiose.
L’esistenza di un Islam buono è diventata il pilastro a cui appoggiare l’impianto traballante e fatiscente delle convinzioni ideologiche del pacifismo ereditato dal vecchio cattocomunismo. Quelle convinzioni che possono trovare spazio solo nei sogni malati di chi ha addormentato la propria ragione con i barbiturici dell’ideologia buonista e politicamente corretta. Ma che sono state cancellate dalle raffiche di fucile mitragliatore dei combattenti islamici in trasferta a Parigi.
Non sarà facile per le carte dominanti italiane uscire dal sonno della ragione e prendere atto dei problemi concreti. Anche perché, come è sempre accaduto nei secoli passati, l’Italia ha un problema in più da risolvere. Quello rappresentato da un Vaticano che per nascondere il mal razzolamento tende a predicare sempre più forte e sempre meno razionalmente.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:15