
L’attentato terroristico di Parigi pone la Francia e l’Europa intera di fronte ad un problema epocale. Non è quello dell’accoglienza né del respingimento o della scelta della società multietnica in contrapposizione a quella identitaria. A chiamare a confrontarsi l’Europa tutta, senza rinvii di sorta, è esclusivamente la definizione dei valori che il Vecchio Continente vuole continuare a giudicare universali e, quindi, assoluti e quelli che invece considera relativi e, quindi, comprimibili se non addirittura rinunciabili.
La scelta di un giornale satirico come bersaglio dell’attacco da parte del commando terroristico non è, ovviamente, casuale. Ed il pretesto dell’azione è stata la presunta offesa che i vignettisti ed i redattori del settimanale avrebbero compiuto ai danni del Profeta e dell’Islam. Ma l’obiettivo vero del massacro è la libertà d’espressione che rappresenta uno dei principali valori a cui l’Europa è riuscita ad arrivare dopo secoli di faticosa e drammatica elaborazione storica e che viene vissuta come insopportabile ed inaccettabile da parte di chi non ha compiuto lo stesso cammino storico. È per questo che è inaccettabile anche soltanto interrogarsi sull’opportunità di pubblicare quelle vignette e mettere così a repentaglio la vita propria e dei redattori che lavorano nel proprio giornale. Per ogni europeo, francese, italiano, tedesco, inglese o di qualsiasi altro Paese del Vecchio Continente, la libertà d’espressione rappresenta un valore inalienabile.
O meglio, dovrebbe rappresentare un valore inalienabile, da non limitare o ridurre a seconda delle necessità e delle particolari contingenze storiche. L’attentato di Parigi impone oggi agli europei di decidere se questo valore sia ancora assoluto o debba diventare relativo di fronte alla negazione che di esso viene compiuta dall’estremismo islamico. Tanto più che chi in nome del radicalismo islamico ci uccide senza la minima intenzione di dialogare o trovare una soluzione politica (tanto ripetutamente invocata dal pensiero correttamente debole mainstream) proprio per annichilire la nostra libertà di espressione, è disposto, eccome, a rischiare la vita per il proprio credo. In nome dell’intangibilità di questo valore della libertà di espressione gli europei si sono abituati a mettere in discussione tutti i totem una volta intoccabili della loro tradizione. Chiesa, patria, famiglia sono i bersagli quotidiani di critiche, polemiche, contestazioni, satira e sarcasmi di ogni sorta, anche spesso violentissimi nei confronti della sensibilità di chi in questo o in quel valore si identifica fortemente. Se una femen a seno nudo tenta di rubare la statua del Bambinello nel presepe di Piazza San Pietro nessuno impugna un’arma, e se qualcuno lo fa viene immediatamente perseguito penalmente. L’atto viene considerato come un eccesso, ma ottiene sempre e comunque la copertura della difesa del diritto d’espressione. Se un giornale pubblica una vignetta che offende i valori di qualcuno, in Occidente ci si avvale della querela. L’offesa in alcun modo legittima l’uccisione di chi ha offeso. Esiste anche solo un motivo per cui ciò non dovrebbe valere per una vignetta su Maometto o per una campagna satirica sull’Islam?
Eppure, ormai, il valore della libertà d’opinione è stato risucchiato nel tritacarne (mai termine è stato più adatto) del credo antidiscriminatorio, sempre pronto ad esser relativizzato se l’opinione si esercita in chiave critica, polemica, satirica nei confronti dell’Islam. Gli europei, soprattutto la schiatta di coloro che sono realmente convinti della loro presunta maggiore evoluzione, sempre al passo con i tempi, up to date, più scevri dai condizionamenti della propria tradizione culturale, sono pronti ad applicare una pericolosissima deroga politicamente corretta a quel valore che rimane comunque intoccabile quando si tratta di mettere in discussione le sacralità vere o presunte del Vecchio Continente.
Se non altro questa volta, nonostante qualcuno non abbia resistito ad attingere dal copione della ottusa tolleranza di maniera sostenendo che “certo però se la sono cercata”, sembra che ancora nessuno si sia spinto con ardimento ad affermare che si è trattato dell’azione del solito o dei soliti individui isolati nella cui devianza convergono emarginazione, rifiuto del milieu occidentale e conseguente rifugio nel fideismo.
Ma allora cosa spinge a questa genuflessione nei confronti di un appannato cosmopolitismo e relativismo? Non solo e non tanto il timore della violenza del terrorismo islamico (La Boldrini si è spicciata a pronunciare il suo cautelativo quanto scontato distinguo tra terroristi assassini e Islam). Soprattutto, c’è una fiacchezza culturale di chi ha perso la consapevolezza del proprio passato e non sa più riconoscere i valori distintivi della propria storia e civiltà. L’attentato di Parigi pone oggi gli europei di fronte ad una scelta decisiva ed improcrastinabile per il futuro. Quella di rivendicare e difendere le libertà che sono a fondamento della civiltà europea o di accettare che questo patrimonio comune di principi venga progressivamente sostituito da quello di altre civiltà. Non è islamofobia come Popper ci insegna: “Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:17