2015, un altro anno   pieno di chiacchiere

Era inevitabile che nella conferenza di fine anno il Premier Matteo Renzi ci ammorbasse con un estenuante compendio del suo ben noto ottimismo della ragione.

Ribadendo con forza che occorre gettare a mare i gufi del malaugurio, ancora una volta il Presidente del Consiglio ha spiegato ad un Paese stremato che abbiamo tutte le carte in regola per farcela, rimettendo in moto un’economia disastrata. Ovviamente non poteva mancare un’altra vagonata di promesse e di dichiarazioni d’intenti con le quali infarcire questo indigeribile polpettone di sciocchezze, ad uso e consumo degli ingenui e degli sprovveduti. Tutto questo nel giorno in cui, ironia della sorte, l’Istat pubblicava il dato sulla fiducia dei consumatori, sceso significativamente di mezzo punto proprio a dicembre, mese tradizionalmente col segno positivo per via delle festività natalizie.

Ciò significa che la gufite, nonostante le costanti esortazioni espresse dall’ex sindaco di Firenze, ha oramai infettato gran parte della popolazione? Non penso affatto. Le persone comuni, come è noto a chi studia i fenomeni di massa, sono estremamente razionali nel proprio ambito e se, come riporta l’Istat, esse nutrono un calo di fiducia anche nel mese delle strenne, ciò significa che nel loro ristretto orizzonte esistenziale i segnali non sono buoni, malgrado le grancasse propagandistiche dei rottamatori al potere.

Le stesse persone comuni, sebbene non siano in grado di comprendere appieno le ragioni profonde della nostra crisi sistemica, tuttavia percepiscono con sufficiente acume se nella società si stia diffondendo un clima che preannunci la ripresa o se, come tutto porta a ritenere, le prospettive generali continuino ad essere estremamente negative. Da questo punto di vista la sommaria relazione dell’Istat fotografa semplicemente una situazione oramai cristallizzata da tempo e che, in assenza di profonde e coraggiose riforme, le chiacchiere di Renzi non sono in grado neppure di scalfire. Occorrerebbe, invece, mettere le mani sui nodi strutturali che impediscono all’economia di riprendere a correre, tra cui il costo esorbitante di uno Stato sempre più inefficiente e burocratizzato. Costo che, in estrema sintesi, grava come un macigno sulla libera intrapresa, paralizzando qualunque tentativo di uscire dai guai attraverso una forte espansione dei consumi e degli investimenti privati. Consumi e investimenti privati compressi oltre ogni misura da una mano pubblica che tassa e spende l’inverosimile.

Ora, per abbattere sensibilmente i costi di un sistema pubblico che assorbe il 55 per cento del Prodotto interno lordo, sarebbe necessario mettere le mani nei grandi capitoli di spesa – previdenza, sanità, pubblico impiego e trasferimenti vari – mettendo di conseguenza a repentaglio il proprio consenso in favore del più autentico interesse nazionale. Ma per tentare una così irta strada Renzi avrebbe, una volta entrato nella stanza dei bottoni, dovuto parlare con chiarezza al Paese, evitando come la peste di fare ricorso allo strumento dell’autoinganno di massa e spiegando che oramai non ci sono più alternative ad una dolorosa ma inevitabile riduzione del perimetro e delle prestazioni offerte coercitivamente dallo Stato. Non avendolo fatto, egli ha altresì continuato a perseverare sulla via infernale delle speranze infondate, senza aver sostanzialmente messo in campo uno straccio di riforma in grado, seppur a regime, di alleggerire il peso dello Stato medesimo.

Per questo motivo per l’anno che verrà, oltre agli oramai consueti annunci di un Premier ampiamente fallimentare, non possiamo aspettarci proprio nulla di buono. Ma forse il peggio deve ancora venire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26