Indovinello: Roma  kaputt welfare

L’altra sera era impossibile, in tivù, sfuggire all’ossessionante spalmatura dei talk-show sulla Roma della grande “bruttezza & schifezza”, con sullo sfondo il profilo del periclitante sindaco sull’orlo di una crisi, non di una città, non della capitale, ma di un Paese e del suo sistema. Sterminati saggi sulla politica riformista stanno bruciando lungo il Tevere. Roghi di acquisiti diritti di benessere per tutti s’alzano nell’ampio cerchio del Grande raccordo anulare.

L’incendio, cui sono accorsi, contestualmente, nuovi piromani e ulteriori pompieri, è dilagato ben oltre i confini della provincia, più su e più in là e più in profondità, talché l’intero Paese starebbe per svegliarsi all’alba di una catastrofe. La catastrofe del welfare, dello stato del benessere, dello stato che garantisce tutti, dalla culla alla tomba, dal neonato al pensionato. E pure all’immigrato, al nomade, al naufrago, al prigioniero politico, ultimi anelli, eppure così emblematici, di una catena.

Certo, le macerie che si vanno delineando dietro la spessa coltre di fumo (mediatico) non paiono ancora ai tanti il suggello di un fallimento. E se ne capisce il motivo. La mediatizzazione del binomio “Mafia-Capitale” ha svicolato fin da subito nella prateria senza confini della rissa politica sullo sfondo di mirabolanti intercettazioni la cui bulimia è avviluppata in un’incomprensibile comprensibilità (dialettale, gergale, “sociologico-trucida”, borgatara trash, “criptopasoliniancooperativistica”). Prendendo i sentieri selvaggi dello scontro, la vicenda romana, con l’aiuto decisivo della “giustizia”, ha assunto il ruolo della narrazione filmica, della storytelling politica, un mix di soap opera e di romanzo criminale spalmato su ogni talk e finalizzato a dare l’ultimo colpo di credibilità alla politica. In un momento, peraltro, nel quale la crisi economica più violenta del secolo sta mettendo alle corde pezzi sempre più ampi di società.

Ad essere più precisi, la crisi sta recitando l’ultimo “De Prufundis” a quella che ci appariva la conquista più garantita all’occidente democratico: il welfare. O, come si dice da taluni, lo stato assistenziale. Una cortina fumogena accompagna il rullo mediatico in onda dall’alba a notte fonda, il quale non può cogliere i nessi più veri di questa storia, perché non lo vuole, si rifiuta, se ne ritrae inorridito. Non tanto o soltanto dell’abbuffata fascio-comunista, non della spartizione di tangenti e di percentuali sui campi rom, non del coinvolgimento, più o meno provato, di personaggi illustri, di ieri e di oggi. I media nostrani sono scafati, la sanno lunga sull’intreccio affari politica e, ancora più lunga, sul circo mediatico giudiziario. I conduttori delle più sfrenate e tonitruanti trasmissioni contro il leggendario marciume dei politici, di “tutti i politici” specificano, sanno benissimo di stare replicando lo stesso programma di venti, ventidue anni fa, sanno perfettamente che ripercorrono le pagine dell’antica tangentopoli sia pure nella sua versione spazzatura, sono del tutto consapevoli che il copione del loro talk-show è lo stesso, identico, del ventennio precedente. Ma fingono di ignorare che, appunto, sono passati più di vent’anni e che la storia che narrano si replica, non più in tragedia, ma in farsa. È un’altra storia, diversa perché più grave per il semplice motivo che s’invera venti anni dopo. È recidiva.

C’è in giro troppa ipocrisia, stavo per dire malafede, sia da parte dei politici che degli addetti all’informazione, una sorta di cattiva coscienza nel prendere atto di una verità che era già tale nei primi ‘90, ai tempi della violazione del finanziamento pubblico, ovvero dei costi della politica. Con una differenza fra l’allora e l’oggi: che prima i soldi servivano per fare politica, e che oggi la politica serve per fare soldi. Ma c’è un’altra differenza che il fumo sparso a piene mani non fa emergere, anzi, la nasconde, la rimuove, per pigrizia o impreparazione, o per malafede e ipocrisia, chissà, pur di non andare oltre quella cortina, per non grattarne la crosta e scoprire il nucleo più vero.

Difatti, se è vero com’è vero che gran parte della storia romana ruota intorno all’assistenza e all’emergenza, è evidente che l’approvvigionamento delle tante risorse fuorilegge ha fatto un salto per dir così qualitativo-peggiorativo tutto interno al welfare, o stato assistenziale che dir si voglia. Che riguarda il futuro di tutti, e pure il presente. Non più le contribuzioni illegali delle imprese alla politica ma aggressione alle risorse dell’assistenza pubblica emergenziale. Da un decennio questa è stata subappaltata a cooperativa, onlus, no profit o come si chiamano tutte le entità che fanno da corona alla grande provvista della cosiddetta carità. Una privatizzazione sui generis e in nome dei buoni sentimenti. E con l’intermediazione della criminalità e la politica sua ancella. “Roma Capitale Mafia” o “Roma Kaputt Welfare”. Perché sempre di welfare si tratta, del modello che abbiamo, dell’avvenire che esso potrà o non potrà sopportare. Con uno stato dalle bardature imponenti, dai mille tentacoli da tagliare. Ecco, ma sappiamo di illuderci, potrebbe essere l’occasione per ragionare a fondo, per mettere in discussione le facili e consolatorie acquisizioni che ci portiamo addosso, dalla culla alla tomba, pensione compresa (?).

Per un ragionamento finalmente liberale. E liberatorio di uno stato asfissiante e ossessivo che di maggioranza in maggioranza, di alternativa in alternativa, ci ha condotti nella terra dei fuochi: del welfare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29