Le nuove, strane   primarie italiane

Nella sua prima apparizione televisiva il Premier ha innanzitutto chiarito che l’astensionismo “monstre” emiliano è secondario rispetto alla vittoria due, “pardon”, cinque a zero del Partito Democratico. Si dice così quando si vince? Beato lui... Ad ogni buon conto il nostro direttore ha constatato, da impietoso chirurgo, “L’infarto emiliano chiamato Bersani” che ha colpito il corpaccione del Pd in Emilia Romagna. Un’arguta metafora che sta, anche, a significare altre due o tre cosette, collegate comunque allo stato di salute di Matteo Renzi e del suo partito. Salute non florida, anzi, periclitante nella misura in cui Renzi ha posto con la consueta “arrogance” l’ordine del giorno del cambiamento di pelle e di sostanza del suo Pd.

Spostandosi a destra, anche con la spinta del patto del Nazareno a mezzadria con Silvio Berlusconi, Renzi ha sfacciatamente chiuso la porta in faccia ai sindacati e, sulle orme di un Tony Blair erede, un po’, della Margaret Thatcher, ha virato verso un’idea di Paese e di partito “centrista” in cui una sorta di Partito della Nazione, il suo, dovrebbe rappresentare la cosa nuova e non più la “sartriana chose” del vecchio Partito Comunista Italiano. Il quale, nel modello emiliano, aveva consolidato una presenza tanto pulviscolare quanto invasiva e dominante, a tutti i livelli. Se dopo la caduta del muro questo modello ha cominciato ad incrinarsi - ricordiamo Giorgio Guazzaloca che fa ammainare la rossa bandiera a Bologna - altri fattori ne hanno poi accelerato la riduzione e la trasformazione, passando per scandali comunali, vedi Parma e la stessa Bologna, e soprattutto regionali con il rinvio a giudizio, alla vigilia di queste elezioni, di ben 42 consiglieri regionali. Bingo!

Ed eccoci al modello renziano offerto agli emiliani come continuazione nella diversità di quello precedente. Perciò, sull’impennata giudiziaria simile a una mannaia purificatrice dello stato comatoso dell’ente regione, e non solo emiliano, i renziani hanno indicato una delle ragioni primarie dell’astensionismo in una regione, peraltro, dove si portavano in palma di mano e in processione come il “Santissimo”, l’eccelsa moralità e l’onestà adamantina degli eredi di Antonio Gramsci e di Palmiro Togliatti. Quell’incantesimo s’è rotto, da tempo. Ed è addirittura ovvio che la questione morale, così spesso e impunemente sbandierata a sinistra, si è rovesciata come un guanto contro i falsi innocenti. Il che pesa assai e, di certo, tiene lontana la gente dalle urne regionali, talché, a posto del Premier, invece delle Province, avremmo sciolto le regioni, e amen. Ma la scusa della questione morale si ferma davanti a un “quid”, a un muro che ha poco a che fare con gli scandali. È il muro sorto davanti alla politica renziana nella sua prima chance elettorale facile, una sorta di partita in casa dove, tra l’altro era, già certo il vincitore, renziano ovviamente. Il muro è stato alzato oltre ogni misura dall’astensione, certamente.

Ritornando all’infarto emiliano citato all’inizio, questa dismisura mostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’elettorato di quella regione, proprio perché prevalentemente del Pd, è rimasto a casa per motivi squisitamente politici. Essendo un popolo bonaccione, l’astensionista emiliano si è messo in “stand-by”, e invece del certificato elettorale nell’urna ha inviato un messaggio, anche questo elettorale, di attesa, di sospensione, di “wait and see”. Con un vago senso di smarrimento da un lato e con una chiara propensione a indicare una smarcatura interna, una presa di distanza il cui significato si traduce in un’inedita edizione di “primarie” silenziose ma dall’acre sapore del dissenso. Il dato politico scaturito dall’Emilia Romagna ha dunque in sé una pesante, seppur solo suggerita, distanza dal modello renziano. Un modello che ha raccolto più astensioni che voti, vincendo perdendo.

È ancora presto per dire se stia prendendo forma un soggetto politico pronto, prima o poi, a staccarsi come una costola dal Pd. Ma l’aria che tira in parlamento dove Giuseppe Civati ha già annunciato il no di trenta deputati al Jobs act e forse più di trenta per l’Italicum, la dice lunga su quel che bolle in pentola dentro il Pd di Renzi. Se non sta prendendo forma una nuova sinistra, è però sicuro che stanno prendendo le misure. A Renzi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22