L’Italia: il Bel paese senza frontiere

La protesta popolare di questi giorni ci parla di un dramma reale. Non riusciamo a reggere l’impatto della presenza massiccia di immigrati clandestini. L’insostenibilità del modello di società a “porte aperte” ha scatenato la rabbia della gente. Ma la guerra dei poveri che si sta combattendo per le strade delle periferie italiane è solo il sintomo del problema, non la sua causa.

Questa violenza ha natali ben noti, sebbene la disinformazione di regime sia stata abile nel rovesciare la frittata. Sarebbero stati i razzisti, a soffiare sul fuoco. Ma quali razzisti! Qui bisogna prendersela con la cultura dell’accoglienza, che per decenni è stata il terreno d’incontro tra i terzomondisti della sinistra ex-comunista e l’oltranzismo pacifista del cattolicesimo solidale. La “società aperta”, bandiera ideologica di questo blocco, ha individuato come bersaglio privilegiato la logica della frontiera.

Il “limite”, come categoria concettuale, è stato combattuto in quanto espressione di un pensiero di destra, quindi negativo in sé. È parso molto trendy sostenere che un mondo senza frontiere sarebbe stato un mondo migliore. I benpensanti sono riusciti a convincere la maggioranza dell’opinione pubblica italiana che riconoscere la necessità di darsi confini nazionali fosse sinonimo di razzismo e di xenofobia.

Bisogna ammettere che anche la destra, conquistata per un certo tempo dal fascino postmoderno della società globalizzata e dalla natura volatile del “capitalismo di carta”, non abbia fatto molto per impedire lo sbracamento del sistema di protezione sociale in presenza delle ondate migratorie che si facevano di giorno in giorno più intense. I motivi per i quali il fenomeno ha conosciuto un’impennata dal 2011, in conseguenza della sciagurata campagna delle primavere arabe, è noto e non stiamo a ripeterci. Cosa si può fare per rimediare? È necessario dire a chiare lettere che l’idea di stato nazionale è ancora attuale e non può essere rottamata, come vorrebbero gli ideologi del buonismo. La frontiera serve a una comunità non solo per difendersi ma per rimarcare il diritto naturale ad avere un’identità propria, di popolo. Quando le frontiere esistono, vanno protette. Possono essere attraversate, ma non violate.

Con la questione di “Mare Nostrum” abbiamo negato il diritto a considerarci nazione. Lo abbiamo fatto in nome di una solidarismo che non è per nulla condiviso dai partner europei. I nostri vecchi ci insegnavano che la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Facendo sapere in giro che saremmo stati disposti ad accoglierli tutti, quanti clandestini abbiamo fatto morire nel nostro mare? Uccisi dalla spietata crudeltà degli scafisti e dall’ingenua prospettazione che un paradiso in terra vi fosse e lo si potesse raggiungere dopo una notte passata in mare aperto. Dicono le anime belle del pacifismo nostrano che quei poveracci fuggono dalle guerre, perciò vanno aiutati. A parte il fatto che quando la guerra ha raso al suolo il nostro Paese, nessun italiano se n’è scappato. Sono rimasti tutti al loro posto a subire la violenza di nemici che facevano pagare ai nostri nonni i loro peccati (leggere “La Ciociara” e “La pelle” per credere). Ma poi chi l’ha portata la guerra in casa di quei disgraziati? Non è stata forse l’ottusità di certi “apprendisti stregoni” rintanati nelle cancellerie occidentali a combinare un gran casino in Siria, in Libia e, poco c’è mancato, anche in Egitto?

Ora il buonismo è al capolinea. Gli immigrati sono troppi e non sappiamo dove metterli. Non solo. Per sfamarli dobbiamo togliere il pane di bocca a quelli tra i nostri che stanno peggio. Sarebbe ora che la si facesse finita con quest’ideologia della solidarietà pelosa che non ci porta da nessuna parte. Restituire senso alle frontiere potrebbe servire la causa della pacificazione delle componenti interne della nostra società, che oggi sono in rotta di collisione. L’immagine odierna della furia delle acque dei fiumi che esondano è la metafora dell’Italia che annega. Per salvarci dobbiamo rinforzare gli argini. E la frontiera non è anch’essa un argine?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20