
Alle ultime elezioni politiche il Partito Democratico, allora guidato da Pierluigi Bersani, ha conquistato il 25 per cento dei voti. Grazie a quel risultato ed alla legge maggioritaria del “Porcellum”, che ha potenziato al massimo un risultato decisamente poco brillante, il Pd è diventato l’arbitro della politica nazionale. Il quaranta per cento ottenuto alle elezioni europee da Matteo Renzi è stato un risultato importante, ma successivo e del tutto ininfluente sugli equilibri numerici presenti nel Parlamento italiano.
Il Pd, quindi, costituisce oggi il dominus della scena politica italiana non in base al quaranta per cento delle europee, ma al venticinque per cento della politiche. Da questo dato bisogna partire per immaginare quale ruolo potrebbe assumere il partito di Renzi il giorno in cui riuscisse a ripetere alle politiche il risultato delle europee e forte del quaranta per cento riuscisse ad ottenere il premio di maggioranza previsto dall’ultima versione dell’Italicum e diventare il partito dominante della situazione politica italiana.
Non c’è bisogno di fare ricorso ad una fantasia più o meno sfrenata per compiere questa simulazione. Basta fare riferimento a quanto è avvenuto per lo Jobs Act per avere una perfetta anticipazione di quanto potrebbe avvenire se il Pd dovesse diventare il partito del cinquantun per cento.
A dispetto del fatto che la maggioranza di governo non è formata solo dal Pd ma da una coalizione di partiti, la modifica della riforma del lavoro ha riguardato solo ed esclusivamente le diverse componenti del partito di Renzi. Il Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e gli altri cespuglietti che compongono la coalizione governativa non sono stati minimamente consultati. Lo Jobs Act si è rivelato una “cosa nostra” dei dirigenti del Pd, renziani ed antirenziani. Ad anticipazione ed a dimostrazione inequivocabile di quanto potrà avvenire il giorno in cui una legge elettorale non più proporzionale o bipolare ma diretta a realizzare il monopartitismo dominante dovesse assicurare al Pd il Governo del Paese.
Fanno bene i dirigenti di Ncd a protestare per non essere stati minimamente interpellati per l’elaborazione delle modifiche alla riforma del lavoro. Ma oggi sanno non solo che la loro protesta contingente è assolutamente vana visto che l’Evita casereccia del Peron fiorentino, cioè la ministra Boschi, ha subito respinto la richiesta degli alfaniani di un vertice di maggioranza sulla questione. Ma, soprattutto, ora hanno la conferma clamorosa ed inequivocabile che se con il 25 per cento il Pd la fa da padrone, con il cinquantuno, sia pure ottenuto con il premio di maggioranza del nuovo Italicum, la farebbe da despota incontrastato. La denuncia di un pericolo di deriva autoritaria nel caso di approvazione di una legge elettorale diretta a privilegiare una sola lista è, dunque, più necessaria che mai.
Il nostro Paese ha già verificato i guasti che il partito unico ed un sistema senza alternanza democratica sono in grado di provocare. La vulgata di sinistra ha demonizzato il regime fascista. Ma accanto a quell’esempio c’è anche quello del secondo dopoguerra del cosiddetto regime democristiano segnato dalla conventio ad excludendum nei confronti della principale forza d’opposizione. Il monopartitismo e la democrazia bloccata non garantiscono la governabilità. Servono solo a perpetuare il potere a chi lo ha conquistato con le buone o con le cattive. A beneficio degli interessi di pochi, ma sempre a scapito di quelli della stragrande maggioranza dei cittadini.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19