La legge elettorale,   il peronismo fiorentino

Sarà pure vero che alla stragrande maggioranza dei cittadini non interessa un bel nulla del dibattito tra le forze politiche sulla riforma elettorale e sulle riforme costituzionali.

Chi ha i problemi non solo del fine mese ma anche dell’inizio perché non ha lavoro o perché ha una pensione insufficiente o perché è talmente subissato di tasse da non poter far altro che rincorrere disperatamente le scadenze, se ne infischia altamente del “Patto del Nazareno”, del premio alla lista o alla coalizione, del Senato che muore e della sua imitazione al ribasso che si tenta di costruire.

Ma attenzione a non trasformare questa banale considerazione sulle priorità che interessano gli italiani piegati dalla crisi in una retorica ripetitiva, che trasforma le questioni politiche ed istituzionali in vicende inutili e fuorvianti che riguardano solo ed esclusivamente la casta. Perché la ripulsa e la condanna alimentate dalla vulgata dell’antipolitica si traducono in una delega ottusa ed in bianco proprio a quella casta che si repelle e si rifiuta.

E la delega non si esaurisce in un disimpegno passivo ma si trasforma in una indiretta autorizzazione a chi all’interno della classe politica pretende di imporre le proprie scelte disegnando riforme sulla base della proprie esclusive esigenze. Un fenomeno del genere è già stato vissuto in passato nel nostro Paese. Il ricordo della riforma elettorale realizzata dalla “Legge Acerbo” imposta da un fascismo ancora non trasformato in regime è totalmente sbiadito. Ma la retorica sul disinteresse del Paese per le alchimie della politica, che aiutò Mussolini a realizzare la riforma su cui poggiarono le basi del regime autoritario, è molto simile a quella del tempo presente. Ed il rischio che questa ondata di ripulsa popolare finisca per diventare una delega in bianco per una deriva autoritaria è più concreto che mai. L’ultima versione della legge elettorale, che Matteo Renzi vuole ora far approvare ad ogni costo approfittando del disinteresse dell’opinione pubblica, è una Legge Acerbo mille volte più pericolosa di quella originale. Perché favorisce da un lato la parcellizzazione delle opposizioni attraverso la soglia minima del tre per cento fatta apposta, insieme alle candidature plurime ed alle preferenze, per alimentare l’istinto di sopravvivenza e gli egoismi personali dei piccoli leader. E, soprattutto, perché attraverso un premio di maggioranza spropositato in favore della lista che supera il quaranta per cento o esce vincitrice in un ballottaggio normalmente disertato da una larga fetta di elettori, consente ad una minoranza di diventare l’arbitro incontrastato dei destini del Paese. L’ultima versione renziana della legge elettorale, in sostanza, spiana la strada non ad un sistema bipolare e bipartitico fondato sul principio dell’alternanza democratica, ma ad un sistema monopartitico che porta inevitabilmente ad un’involuzione autoritaria del sistema istituzionale.

È possibile che il Premier possa cambiare idea ancora una volta e tornare dallo schema del monopartito circondato da cespugli ininfluenti a quello bipolare o bipartito dell’alternanza. Ma è assolutamente certo che se riesce ad imporre la sua versione attuale, il pericolo della nascita di un regime renziano teso a ripetere l’esperienza fascista della risposta autoritaria ed antidemocratica alla crisi diventa una drammatica realtà.

Non tranquillizza sapere che Renzi non ha nulla di Mussolini. La storia non si ripete mai in maniera identica. Inquieta, semmai, registrare che il leaderismo dell’attuale Presidente del Consiglio ha molti tratti in comune con il peronismo dell’imitatore argentino del dittatore nostrano. E di un peronismo alla fiorentina, con tanto di Evita nella versione casareccia data dalla Boschi, se ne farebbe volentieri a meno!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22