Il Premier e la “spinta” alle elezioni anticipate

Non è solo l’evidente interesse personale di Matteo Renzi a spingere in direzione di elezioni anticipate nella prossima primavera. La pressione più forte che muove il Premier a puntare sullo scioglimento delle camere dipende dalla crisi economica.

Chi aveva calcolato che la recessione potesse concludersi con il 2014 e che la ripresa sarebbe scattata nel 2015 deve ora rifare frettolosamente i propri conti. Le rilevazioni e le previsioni provenienti da Bruxelles, che non sono il frutto dei presunti pregiudizi dei burocrati attaccati da Renzi, ma di analisi e considerazioni purtroppo molto credibili indicano che la recessione è destinata a durare per tutto il prossimo anno e che neppure il 2016 riuscirà a segnare una qualche e significativa inversione di tendenza del disastroso andamento della crisi.

Le riforme preannunciate dall’attuale Governo, sempre che vedano effettivamente la luce, non potranno produrre effetti di alcun genere prima della fine del prossimo anno. Tanto più che l’incisività di queste riforme, a partire da quella del lavoro, sembra essere estremamente ridotta.

Renzi, che aveva sperato di poter cavalcare l’onda positiva di una possibile ripresa nei primi mesi del 2015 e su questo auspicio aveva calcolato di poter restare a Palazzo Chigi fino alla conclusione naturale della legislatura, deve oggi rivedere rapidamente la propria strategia. Resistere fino al 2018 significa subire un logoramento destinato a crescere progressivamente fino a minacciare di vanificare del tutto il consenso raccolto nelle ultime elezioni europee.

Il Premier avrebbe voluto frenare e bloccare il logoramento puntando sulla benevolenza dell’Europa e su condizioni interne ed internazionali favorevoli. Ma ora anche queste condizioni stanno cambiando. All’interno del Paese crescono le contestazioni di tutte quelle forze intermedie, a partire dai sindacati, che non accettano in alcun modo la deintermediazione lanciata dall’“uomo solo al comando”. In Europa, come dimostra il recente scontro con Jean-Claude Junker, la spregiudicatezza renziana ha prodotto come risultato solo il sostanziale isolamento del governo italiano.

E anche se il vento americano arriva sul Vecchio Continente sempre con ritardo, la clamorosa vittoria dei repubblicani su Obama lascia presagire che in tempi non eccessivamente lunghi i contraccolpi della vittoria dei repubblicani non potranno non farsi sentire sul suo imitatore italiano. Renzi non può permettersi di lasciarsi logorare da tutti questi fattori negativi. Se vuole garantirsi un futuro più stabile non può non puntare ad incassare prima possibile il credito che si è conquistato presso l’opinione pubblica a colpi di promesse sempre più impegnative ma sempre meno realizzabili. Di qui la sua oggettiva spinta alle elezioni anticipate. Con le continue provocazioni alla sinistra sindacale, con l’evidente tentativo di lasciare nelle mani dei dissidenti interni il cerino acceso della scissione e della crisi, con il ritorno di fiamma per una riforma della legge elettorale ritagliata sulle sue sole esigenze, con l’opposizione alla revisione della legge Severino che gli garantisce di continuare a tenere escluso da una eventuale sfida elettorale a breve termine quel Silvio Berlusconi a cui conta di strappare fette di elettorato moderato.

Ma potrà bastare la spinta del Premier a provocare l’interruzione anticipata della legislatura? Bella domanda. A cui può rispondere solo il Cavaliere!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24