
Com’era quel “refrain”? Ah, già: “Davanti a lui tremava tutta Roma”. No, adesso che ci penso non era questa. Ora ricordo, faceva: “Lei non so chi sono io!”. No, sbaglio ancora, ma come fa quel ritornello che mi piace tanto? Mi verrà in mente... Suvvia, bando alle ciance e ai vuoti di memoria. Insomma, quel Matteo Salvini che va a zonzo per l’etere da un talk-show all’altro, scavalcando palinsesti “manu militari” da mattina a sera, complici i sondaggi per le mitragliate contro tutto e tutti, compresa Forza Italia; ebbene, quel Salvini si è infine reso conto di che sta parlando? E con chi? E perché? No, non filosofeggiamo a gratis e nemmeno per passare il tempo cazzeggiando. Anzi, ripudiamo per la prima volta la nostra usuale abitudine di criticare i politici scherzandoci sopra, cioè senza fare del male, e utilizziamo una seriosità d’argomentare che, lo giuriamo, l’archivieremo in un battibaleno.
Il fatto è che Salvini da un lato sta prendendo troppo sul serio il successo, non elettorale ma indubbiamente sondaggistico, di piazza e di corteo con CasaPound al seguito e inneggiante alla Marine Le Pen, dall’altro sta prendendo in giro non le persone, ovvero boccaloni cui lancia ami a più non posso, ma gli argomenti, le tesi, le idee, i fondamenti della politica o di quello che ne resta. Do you remember? Salvini era un secessionista accanito, un “padano” ultras, un bossiano più in là di Umberto Bossi. Era il lupo ululante contro Letizia Moratti sindaco, pur essendone alleato di giunta, invocava le ronde padane, ringhiava a proposito di vagoni diversificati della metropolitana. Piangeva lacrime, magari di coccodrillo, davanti ai riti celtici su sfondo di cartapesta dell’acqua del Monviso, sorgente del Po. Roba da teatrino parrocchiale più trash che kitsch. Non parliamo della leggendaria “devolution”, quella cioè messa in atto in tre locali dell’immensa Villa Reale di Monza, del teatrino degli uffici decentrati per gli allora ministri del fritto misto Pdl-Lega, uffici peraltro mai aperti. Credo che sia questo il punto più basso della parabola di quel tipo di Lega Nord e di maggioranza che avrebbero meritato l’ergastolo soltanto per l’abisso di caduta di stile. Lo stile, appunto. Salvini, barbuto in t-shirt o felpa, o con tutte e due, è sempre quel Salvini là? No, ma anche sì.
La devolution è scomparsa, il secessionismo è svanito, la Padania rimane soltanto come giornale (forse la cosa migliore...) e il nord di Roberto Maroni e Luca Zaia minaccia fuoco e fiamme, proteste fiscali e non si sa che, ma, guardandolo da vicino, quel nord, scopriamo che in quella plaga iperproduttiva, la più vivace d’Italia, la Lega arretra, Milano è in mano a Giuliano Pisapia, avanza il duo Debora Serracchiani e Alessandra Moretti, oggi, e domani chissà chi, ma non la Lega, c’è da giurarci.
E allora, caro Salvini, di che stiamo parlando quando avanzi, poco elegantemente (ma questo è il meno), la tua offerta pubblica d’acquisto (Opa) sul centrodestra? Che stai dicendo, che intendi quando parli di concetti-idee come nazione, destra liberale, basta euro, rivoluzione liberale? E meno male che il buon Giovanni Toti, sia pure in leggero ritardo, ha replicato in merito a questa Opa. Ma il fatto vero, le “cose”, restano, perché le parole sono come pietre laddove la tivù le metabolizza in progetti, visioni, programmi e Opa, tanto per capirci.
Un conto è fare la propaganda pro domo sua, un conto è farla come dice il volgarissimo proverbio romano a proposito del fare il frocio col “coso” degli altri. Eccomi precipitato nel gorgo, nell’abisso triviale che tanto piace alla folla dei forconi (e delle forche: per gli altri). Ma è immaginabile un centrodestra col “conducator” Salvini? È possibile una rivoluzione liberale con un leader che vuole uscire dall’euro? È ipotizzabile un’alleanza fra Forza Italia e Lega che contenda una vittoria, mettiamo ad un Matteo Renzi, ispirandosi alla vagamente fascistoide nazionalista Marine?
E siamo sicuri che i pur attivi e presenti sul territorio e ai cortei, ma certamente non seguaci di Stuart Mills di cui aborrono i principi basilari, accendano gli animi dei cittadini, non pochi, che chiedono un contenitore politico dove il suo leader rivendichi un nome, uno solo: “liberale” che è la certificazione di un marchio, di una garanzia che pure il Cavaliere del 1994 e tanti altri perseguirono con successo lasciandosi poi inghiottire dalle sabbie mobili del tirare a campare?
A parte il fatto che sarebbe inimmaginabile - non foss’altro che per i numeri reali e non dei fallaci sondaggi - un’Opa su Forza Italia, e pure sul Nuovo Centrodestra (Ncd), possiede questa Opa qualche appeal, è votabile, è accettabile, soprattutto, ha qualche speranza di vincere. E di affermarsi un centrodestra che accende i cuori per la rivoluzione liberale, ma alla rovescia: uscendo dall’euro, alzando frontiere, lottando braccio a braccio con quell’altra Marine e in alleanza con CasaPound? Salvini, ma di che stiamo parlando?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21