Matteo Renzi ed il Pd sulla pelle del Paese

Ma quanto vale da un punto di vista elettorale la sinistra del Partito Democratico? Una percentuale da prefisso telefonico o una percentuale a due cifre in grado di coagulare una parte del voto allo sbando del Movimento Cinque Stelle? Quanto vale un Pd privo della sinistra nostalgica e sindacale ma in grado di attrarre, oltre al voto degli ex elettori di Scelta Civica, anche una parte dell’elettorato di centrodestra colpito da un Matteo Renzi visto come la versione giovanile di Silvio Berlusconi? E quanto vale infine Forza Italia con un leader che non si può candidare e con un elettorato che è pressato tra la suggestione renziana e quella di un leghismo non più localista ma nazionale fermo sulla sua linea popolare del no all’euro ed all’immigrazione incontrollata?

Se questi sono gli interrogativi che più interessano in questa fase è facile concludere che i risultati delle passate elezioni, sia quelle politiche che quelle ultime europee, non rappresentano più la realtà. Se il voto per il Parlamento Ue aveva dimostrato che gli equilibri ed i rapporti di forza presenti nel Parlamento italiano erano superati, ora, soprattutto alla luce di quanto avviene nel Pd, si può tranquillamente concludere che anche la fotografia uscita dal voto europeo deve essere considerata del tutto sbiadita ed inattuale.

Questo non significa che le elezioni anticipate siano scontate ed imminenti. È chiaro che Renzi stia facendo di tutto per spingere la minoranza interna ad uscire dal partito per andare alle elezioni anticipate in autunno e trasformarle in una sorta di plebiscito sulla sua persona. Ma è altrettanto chiaro che la sinistra Pd non ha alcuna intenzione di cadere nella trappola del Premier e può decidere di puntare sulla scissione, cioè sul voto anticipato, solo dopo aver verificato di poter puntare ad una percentuale a due cifre destinata a garantire la propria sopravvivenza.

Il Paese, dunque, è condannato ad assistere ancora a lungo a questo prolungamento del congresso del Pd. Che apparentemente si gioca sulla contrapposizione tra innovazione e nostalgia, tra riformismo e massimalismo, che nel concreto è solo una battaglia di potere tra la vecchia classe dirigente che resiste in difesa della tradizione del partito e quella nuova che la vuole scalzare in nome del peronismo alla fiorentina di Renzi.

Ciò che colpisce in questa situazione non è la lotta interna al Pd, ma la passività con cui il resto delle forze politiche italiane assiste alla partita. Nessuno sembra capire che chi vincerà all’interno del Partito Democratico detterà la regole del futuro gioco politico all’intero paese. Se vincono i dissidenti si rimane sostanzialmente fermi a quel sistema della Prima Repubblica che nel concreto non è mai cambiato nella cosiddetta Seconda. Ma se vince Renzi si instaura una democrazia plebiscitaria priva di una sua definizione istituzionale destinata a realizzare l’ennesima trasformazione della Costituzione materiale in direzione non di un presidenzialismo o di un premierato definiti ma di un nuovo autoritarismo incontrollato ed incontrollabile.

Può essere che l’assicurazione data da Renzi di non voler andare oltre due mandati al Governo del Paese abbia tranquillizzato qualcuno. Ma chi crede nei valori della democrazia liberale dovrebbe allarmarsi al massimo grado. E passare dalla passività alla denuncia che la partita in corso nel Pd si gioca sulla pelle del Paese!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27