
Nei confronti di Matteo Renzi il centrodestra d’ispirazione liberale sembra avere lo stesso complesso d’inferiorità che nel lunghissimo secondo dopoguerra italiano qualsiasi forza politica non comunista, ad esclusione del Partito Socialista craxiano, ha avuto nei confronti della sinistra d’ispirazione marxista. Con l’aggravante che all’inferiorità psicologica nei confronti di un Premier che viene dalla sinistra, il centrodestra aggiunge anche lo stupore e l’invidia per un leader che oltre ad essere carismatico come lo è stato ed è Silvio Berlusconi, cioè il leader incontrastato del fronte moderato degli ultimi vent’anni, porta avanti idee e progetti che non hanno nulla a che fare con la tradizione post-comunista.
Al solito complesso d’inferiorità per un erede della vecchia egemonia culturale, in pratica, il centrodestra aggiunge la preoccupazione per la scoperta che la sinistra ha trovato il suo Berlusconi in versione giovanile e liberal-riformatrice. C’è un modo per fermare questo fenomeno che dopo aver prodotto la fuga nell’astensione di larghe fasce di elettori moderati alle ultime elezioni europee rischia di far convertire al renzismo anche una parte dei post-berlusconiani in cerca di un nuovo “santo” a cui affidarsi?
Per chi è provvisto di una cultura autenticamente liberale e non soffre di alcun complesso d’inferiorità nei confronti di una parte politica, la sinistra, che ha alle spalle il crollo non solo del mito comunista ma anche di quello socialdemocratico (la crisi odierna è crisi del modello di Stato assistenziale realizzato in Europa dalla sinistra riformista), la linea da seguire è duplice. Da un lato denunciare il carattere fasullo del liberal-riformismo di Renzi, sottolineando che le sue sono solo riforme di facciata dietro cui c’è sempre la cultura dello Stato onnipresente e predone. Fino ad ora, infatti, non ha prodotto riforme, ma solo tasse. Dall’altro contestare con la maggiore energia possibile come il tratto distintivo di questo leader sia quello di essere ciò che Berlusconi non è mai stato negli ultimi vent’anni, cioè un leader profondamente ed inguaribilmente autoritario ed illiberale. Contro il Cavaliere sono state mosse accuse di ogni genere. Ma nessuno ha mai potuto contestargli una qualche velleità di stampo autoritario e dittatoriale.
Di Renzi, invece, ciò che colpisce non solo i suoi avversari ma anche i suoi sostenitori non è il semplice decisionismo tipico di ogni leader, ma è il carattere totalmente intollerante di questo suo ostentato decisionismo. Il renzismo, in altri termini, va denunciato come la versione più profondamente illiberale del berlusconismo. Ed il compito di portare avanti questa denuncia non va lasciato alla sinistra Pd che oggi si ribella al “centralismo democratico” di un segretario perfettamente in linea con la tradizione togliattiana. E non va neppure consegnato ai sindacati o alle altre forze sociali che oggi si lamentano per la fine di una concertazione che garantiva loro un diritto di veto inamovibile. La denuncia di illiberalismo, di intolleranza e di vocazione autoritaria deve diventare la battaglia portante di un centrodestra liberale che punta a rimanere la forza alternativa alla sinistra in un sistema fondato sulla democrazia dell’alternanza.
Tutto questo non significa caricare sempre e comunque a testa bassa contro il Peron fiorentino. Senza una nuova legge elettorale non ha senso puntare ad una crisi di Governo. Significa, però, chiarire sempre e comunque che il decisionismo intollerante non è liberale, ma è solo una minaccia per la democrazia e lo stato di diritto.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23