La grande illusione del Quantitative Easing

Se Matteo Renzi pensava di risolvere gran parte dei colossali problemi del Paese a colpi di cosiddetto Quantitative Easing, l’italiano Mario Draghi lo ha clamorosamente smentito, determinando il tracollo della borsa di Milano.

Nessuna manovra di acquisto diretto dei titoli di Stato, così come faceva l’Italietta della lira e dell’inflazione a due cifre, è alle viste nel palazzo della Banca Centrale Europea, con buona pace di chi vorrebbe spalmare su tutti i contribuenti della zona-euro i costi della propria dissennatezza amministrativa.

Il Nord Europa virtuoso, nonostante il rallentamento dell’economia, non sembra disposto a sovvenzionare le democrazie delle cicale seguendo l’esempio dell’Argentina, che tenendosi stretta la sua sovranità monetaria è sconquassata da un’inflazione superiore al 40 per cento. Da qui se ne deduce che l’Italia ha di fronte tre possibili scenari: o si rimette in carreggiata sul piano dei conti pubblici, abbattendo i costi di uno Stato ipertrofico, o per riuscirci – una volta stabilito che nessuno appare in grado di farlo – dovrà sottoporsi ad una cura da cavallo imposta dalla famigerata Troika, oppure saremo molto presto costretti ad uscire dalla moneta unica, con tutte le catastrofiche conseguenze del caso.

Come mi trovo a ripetere ossessivamente da tempo, non vedo alternative ad una serie di significativi interventi strutturali volti a ridurre il peso finanziario di un sistema pubblico che spende il 55 per cento del Pil. Ben oltre 800 miliardi, di cui gran parte vanno in stipendi e rendite vitalizie. E nessun ipotetico asse franco-italiano sulla via dei debiti è proponibile seriamente analizzando la condizione generale di una società dominata in lungo e in largo da un collettivismo strisciante, che si ostina a voler vivere ben al di sopra dei propri mezzi.

Le risorse per riprendere a crescere e per – come ha sostenuto Draghi a Napoli – ricreare un clima di fiducia sul piano degli investimenti vanno trovate attraverso un’azione sistematica di risparmi, dando priorità alle ragioni della produzione e dello sviluppo. Ma se dovessero prevalere quelle del consenso, così come sta obiettivamente accadendo con il Governo Renzi, il nostro punto di riferimento non sarà più Parigi, bensì Buenos Aires. Dopodiché al popolo credulone non resterà che scendere in piazza con tanto di pentole e padelle da percuotere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19