La direzione del Pd e il “sarchiapone”

Samuel Beckett, quello di “Aspettando Godot” e padre nobile del “Teatro dell’assurdo”, sarebbe stato orgoglioso dei suoi epigoni - Renzi, Bersani, D’Alema - a sentirli recitare nello psicodramma dal titolo “Articolo 18”.

Una complessa trama narrativa farcita di fobie individuali e collettive, di paranoie vere e di analisi fasulle, di depressioni umorali e di patetici stati di esaltazione. Tutto costruito intorno al nulla, in uno spazio scenico, la direzione del Partito Democratico, che somiglia in modo impressionante alla “piazza” dell’opera teatrale di Eugéne Ionesco, dove compare un rinoceronte. Tutti discutono, poi litigano, infine si azzuffano perché temono di trasformarsi in rinoceronti. La paura della “rinocerontite” si diffonde. C’è chi scappa dalla finestra e chi, invece, decide di resistere. Tuttavia, nessuno si pone l’unica domanda possibile che riporti la psiche a fare pace con la ragione: ciò che accade è reale? Fuori dalla metafora drammaturgica, abbiamo assistito, l’altro giorno, ad un dibattito surreale, trasmesso “a reti unificate”, dove le anime della sinistra si sono divise e se le sono date di santa ragione su qualcosa, la riforma del mercato del lavoro e la soppressione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che al momento non esiste perché non è dato di conoscere il testo della legge delega che dovrebbe contenere – carta canta – le proposte del Governo.

Matteo Renzi è dunque riuscito nell’intento di creare una frattura insanabile con la costola sinistra del suo partito, radicata nei valori del socialismo massimalista otto/novecentesco, litigando su qualcosa che non c’è. Come il “sarchiapone” del compianto duo comico Walter Chiari/Carlo Campanini. Un capolavoro! Non c’è che dire. Tutto questo accade mentre la situazione occupazionale del Paese precipita nell’abisso. È notizia fresca, fornita dal Cnel, che la disoccupazione, nella sua accezione ampia, sia giunta a superare il 30 per cento e che l’obiettivo di riportarla ai livelli pre-crisi, cioè al 7 per cento, sia una chimera. Servirebbero, secondo il Cnel, almeno 2 milioni di nuovi posti per raddrizzare la barca. E dove si crea tanto lavoro se il nostro apparato produttivo è praticamente in dismissione?

Intanto cresce la quota degli “invisibili”, che sono micro imprenditori e lavoratori autonomi, artigiani e commercianti, i quali quotidianamente scompaiono senza che di loro si abbia notizia. Dove finiscono? Dobbiamo forse cercarli nei necrologi? Renzi ha messo in piedi una rappresentazione teatrale ad uso e consumo di una platea di spettatori più esterna che interna all’Italia. Tuttavia, quello che è peggio è ciò che a Renzi è riuscito meglio: dare la sensazione di avere occupato totalmente il campo della politica. Nella narrazione renziana c’è un nemico, nascosto tra i “professionisti della tartina”, pronto a colpirlo. Il nuovo, di cui lui sarebbe espressione vivente, è osteggiato dai rigurgiti di un massimalismo mai sopito e disposto a fare asse con i “poteri forti”. Senza di lui, questo è il messaggio, l’Italia sarebbe spacciata. Nulla oltre me, sembra scandire il giovanotto.

E la destra? Che fine ha fatto? Badate! In questo gioco degli specchi a rimetterci le penne potrebbe essere proprio l’altra parte del campo della politica italiana che sembra scomparsa. Che fa Forza Italia? Va bene il senso di responsabilità verso il Paese, ma è consapevole l’establishment forzista che, al momento, non c’è niente di concreto in Renzi? D’Alema ha scomodato Gramsci per insinuare il dubbio che certi “giovani” di una parte si facciano istruire dagli anziani della parte avversa. Magari fosse! Qui c’è soltanto il rischio che i già scoraggiati elettori di destra, alla prossima occasione utile, mandino a ramengo leader e gregari di quello che un tempo fu il glorioso “centrodestra”. C’è il rischio che dicano chiaro e tondo: ma dov’eravate quando si trattava di riformare il Paese dalle fondamenta? A correre dietro al sileno Renzi e alle sue ninfette? Non sarebbe male se Forza Italia annusasse di più l’aria per capire che c’è puzza di trappola nella messinscena renziana e si tenesse debitamente alla larga da pericolose commistioni.

Se davvero si vuole bene all’Italia e agli italiani, come ripetono un giorno sì e l’altro pure tutti i capi e capetti del partito berlusconiano, allora si ritorni senza indugi alla via maestra, che è quella di una chiara e visibile opposizione sui fatti. A furia di star dietro al giovanotto di Firenze si finisce col perdere l’identità, oltre alla faccia. Poi, per distinguersi, che si fa? Si risolve “alla Gaber”? La doccia è di sinistra, il bagno è di destra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:24