
Può essere benissimo, come sospettano i renziani, che dietro l’attacco del direttore uscente del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli a Matteo Renzi ci siano Bazoli e Prodi. Il primo per diversità antropologica nei confronti del premier populista ed il secondo per incominciare ad assaporare la vendetta per il blitz dei centouno franchi tiratori che gli bloccarono l’ascesa al Quirinale.
Ma ridurre l’affondo del quotidiano di via Solferino ad una semplice e anche misera ripicca personale sarebbe non solo riduttivo ma anche clamorosamente sbagliato. Perché la bordata sparata dal “Corriere” contro l’attuale inquilino di Palazzo Chigi è il sintomo di un fenomeno molto più ampio di una faida parentale tra vecchi e giovani ex e post dossettiani. È la spia del rigetto che una parte della classe dirigente italiana, quella che è sempre stata determinante per le sorti del Paese dall’inizio degli anni Sessanta, incomincia a manifestare nei confronti di un personaggio come Renzi che, rispetto alla famiglia politica e culturale di provenienza, sembra aver compiuto un vero e proprio atto di disconoscimento.
A questa parte della classe dirigente, composta da alcuni settori dei cosiddetti poteri forti, dalla stragrande maggioranza delle strutture apicali della burocrazia e dalla parte più nostalgica e conservatrice della sinistra italiana, il giovane Renzi incomincia a stare sul gozzo. Non solo e non tanto perché usa il marketing politico come Silvio Berlusconi, fa concorrenza a Beppe Grillo in demagogia populista e dopo aver rottamato la vecchia guardia del proprio partito si propone di rottamare l’intera vecchia classe dirigente del Paese. Ma soprattutto perché l’asse politico che Renzi ha di fatto realizzato con il Cavaliere e che è l’unica ed imprescindibile condizione per realizzare un qualche cambiamento nel Paese, costituisce un pericolo mortale per l’intera categoria dei vecchi padroni del vapore.
Chi ha combattuto per vent’anni Berlusconi e, attraverso le quinte colonne piazzate nel centrodestra, ha frenato le pretese riformatrici del Cavaliere ed è riuscito anche a metterlo ai margini della scena politica, ora si ritrova a dover fronteggiare un personaggio che non si limita ad essere una sorta di clone ringiovanito del nemico ventennale, ma lo ha addirittura trasformato nel suo unico alleato nella battaglia per le stesse riforme un tempo bloccate.
La cannonata di Ferruccio de Bortoli, allora, non è formata solo dal proiettile dell’antipatia e dell’astio personale di Bazoli e di Prodi. È il segnale che quella parte di classe dirigente del Paese, la stessa che all’inizio ha favorito l’ascesa di Renzi, si è resa conto di trovarsi improvvisamente di fronte ad un asse in grado di scalzarla dalle posizioni di potere e di privilegio che mantiene da tempo incalcolabile. E ha deciso di passare all’attacco nella convinzione che, rispetto alla prospettiva di cedere definitivamente il passo ai due artefici della nuova larga intesa, sia preferibile creare le condizioni per far saltare il binomio prima che si consolidi definitivamente.
Anche a rischio (e forse proprio nell’intento) di provocare una crisi destinata a sfociare nell’intervento della Troika e nella definitiva colonizzazione del Paese. Ipotizzare che l’obiettivo di chi punta a ribaltare Renzi ed il suo asse con Berlusconi sia quello di far intervenire i banchieri europei ed internazionali non è un sintomo di complottite. È un atto di realismo. Perché dove interviene la Troika non rivoluziona ma consolida i vecchi equilibri di potere sulla pelle della massa che non ha poteri e privilegi di sorta. Una Troika per sopravvivere, allora? A pensare male si fa peccato...
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29