
Il Senato ha approvato ieri, in prima lettura, il testo di riforma costituzionale, che non è organico e convincente come quello varato nel 2005 dal centrodestra (poi bocciato dal referendum grazie alla mobilitazione della sinistra, che vide impegnato anche l’attuale presidente del Consiglio all’epoca ancora circoscritto alla cronaca locale), ma rimedia in parte i gravi errori fatti nel 2001 dalla maggioranza di centrosinistra con la revisione del Titolo V.
Con questa riforma si determina la fine della Camera Alta e viene superato il bicameralismo paritario; ciò è importante per assicurare una produzione più rapida delle norme, ma manca l’introduzione del presidenzialismo, o di un semipresidenzialismo, per assicurare più facilmente la governabilità. Non è stata toccata la parte che si riferisce alla giustizia, a causa delle resistenze all’interno del Partito democratico. Per quanto riguarda le Regioni, se da un lato molte materie importanti, come sanità e governo del territorio, tornano allo Stato e sono eliminati i “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionale”, dall’altro è mancata la determinazione di intervenire sull’articolo 131 che stabilisce il numero della Regioni.
Gli emendamenti presentati su questo punto dal senatore Lucio Barani sono caduti nel vuoto. Non solo è stato respinto il suo emendamento che, se approvato, avrebbe portato le nostre Regioni da venti a sei, superando anche quelle a statuto speciale, ma è stato bocciato anche un suo tentativo assai più blando che proponeva l’accorpamento dell’Umbria con le Marche, il Molise con l’Abruzzo e la Basilicata con la Puglia. Ciò sta a testimoniare quanto poco coraggio ha avuto Renzi con la sua maggioranza nel proporre trasformazioni strutturali indispensabili per modernizzare il Paese, dare un impulso alla nostra economia ed evitare sprechi. Non solo, se non ci fosse stato l’impegno di Forza Italia le modifiche sarebbero state sicuramente più insignificanti o addirittura non sarebbe stato possibile approvare la riforma.
Certamente Forza Italia avrebbe voluto maggiori trasformazioni, ma la cultura riformista che la anima ha suggerito la via gradualista, sapendo che spesso il meglio è nemico del bene. Il primo passo è stato realizzato. Adesso occorrono altre tre letture che certamente saranno meno concitate di quella che è appena finita al Senato, ma comunque piene di insidie. Ancora una volta sarà determinante Forza Italia, come lo sarà per la legge elettorale e probabilmente anche per l’economia, vista la grave situazione, che Renzi con la sua maggioranza non riesce ad affrontare. In questa legislatura assai complicata alla fine si vedrà che il ruolo di Forza Italia è stato fondamentale e di grande responsabilità, per il bene dell’Italia.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25