
È furioso, ha detto proprio così, il bravissimo Jon Voight nei confronti dei suoi colleghi attori, famosi non meno di lui, come Javier Bardem e Penelope Cruz scatenati contro Israele impegnato a Gaza in una drammatica sfida al terrorismo di Hamas. Lo siamo anche noi, furiosi, per le sue stesse ragioni.
Ma Jon Voight sapeva di rivolgersi, furiosamente appunto, nei confronti di un ampio settore di opinione pubblica di cui alcuni fra gli attori più conosciuti finiscono col diventare un simbolo, assumono un ruolo che assomma alla popolarità cinematografica la invettiva violenta creando un corto circuito nell’opinione pubblica. La quale, già frastornata dal fuoco di sbarramento antisraeliano di una stampa e di non pochi opinion maker progressisti, fa molta fatica a scorgere le buone ragioni di Netanyahu per eliminare tunnel e missili di cui Hamas si serve. Il mondo è scioccato per le morti innocenti, e pure noi, giacché il bombardamento di un asilo è un atto inconcepibile e i bambini uccisi gridano vendetta. Vero, verissimo.
Ma se dietro, a fianco, sotto quell’asilo innocente sono stati scavati apposta tunnel per basi che lanciano missili contro Tel Aviv, le cose cambiano e viene facile dire che Israele difende i suoi con i missili, Hamas difende i missili con i suoi. Tornando all’attore Jon Voight, di genitori slovacchi e dunque non ebrei, come invece lo sono quelli di molti altri attori e registi hollywoodiani (come vedremo), sembra che le sue parole lucidamente veementi nella difesa del sacrosanto diritto di Israele a difendersi da un Hamas che ha nel suo statuto la distruzione dell’unico Paese profondamente democratico nel Medio Oriente, ci riportino a tempi lontani, nelle pagine delle guerre del secolo scorso, alla vigilia della Seconda guerra mondiale quando diversi attori del cinema alzarono la loro voce fino a farla sentire alla Germania nazista, all’Hitler che stava invadendo la Polonia dopo essersi “mangiato” i suddetti con la complicità di Stalin.
Era lo stesso Hitler, non a caso molto amato dalla suprema autorità musulmana di allora che aveva attuato la pulizia etnica antiebraica in Germania, donde l’esilio negli Usa di ebrei nati e cresciuti in Germania costretti a lasciarla dalla furia annientatrice nazista. Bastino, per tutti, quei due geni del cinema come Billy Wilder, austriaco e reporter a Berlino e Otto Preminger, regista di “Tempesta su Washington” e di “Exodus”. L’olocausto arriverà di lì a qualche anno. Ed è proprio dall’olocausto di un popolo senza nazione che si rafforza lo spirito del sionismo dei padri fondatori, l’anelito alla propria patria, lo stesso che animò il nostro Risorgimento quando Alessandro Manzoni cantava affranto “un popol disperso che nome non ha”.
La nascita di Israele conclude un risorgimento segnato indelebilmente dalla strage di sei milioni di innocenti, colpevoli unicamente di essere ebrei. E chi distingue fra antisionismo e antisemitismo, come certi progressisti, anche ebrei, compie una mistificazione, una sorta di distinguo che non ha ragioni storiche. Non a caso il fondamentalismo islamico punta i suoi missili contro i sionisti di Gerusalemme applicando le teorie dell’antisemitismo segnato, appunto, dalla distruzione di Israele, di una Nazione che già sulla carta geografica “islamica” non esiste.
Basterà l’appello di un grande attore, che ha impersonato Papa Giovanni Paolo II in una bella fiction nostrana, e che aveva trionfato, giovanissimo, in “Un uomo da marciapiede” con Dustin Hoffman, grande attore di genitori ebrei emigrati dall’Ucraina? A proposito di attori di Hollywood, vale la pena ricordare qui come molti di loro, vivi o scomparsi, siano figli di padre o madre di religione ebraica, pur con cognomi “nuovi”, diciamo nomi d’arte. Come Douglas, Kirk padre e Michael figlio, cognome vero Demski, o come Woody Allen, cognome Konigsberg, e il fantastico Fred Astaire, cognome Austerlitz, e Bob Dylan - Zimmerman, Mel Brooks - Kaminsky, l’indimenticabile Jerry Lewis - Levitch, lo strepitoso Walter Matthau, dall’impronunciabile Mattaschanskayasky, e la splendida Lauren Bacall, di cognome Perske, cugina prima di Shimon Peres. Altri hanno conservato il cognome originario, come la Scarlett Johansson lanciata da Allen e un’altra icona hollywoodiana, Paul Newman, eccezionale in “Exodus”, la prima pellicola di grande successo che fece conoscere al pubblico mondiale l’epopea della nascita di Israele.
Ha fatto bene Voight a lanciare il suo grido d’allarme, lui che di ebraico ha soltanto, ma non è poco, la consuetudine dei genitori a emigrare. Servirà, lo speriamo, non solo per gli ambienti radical chic così radicati in un certo cinema, ma in un diffuso politically correct della mainstream press, dove è cresciuta “la nube tossica dell’antisionismo antisemita travestito da pacifismo umanitario e trattativismo”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:20