Il Bel paese 2014:   l’anno del canguro

Per anni si parlò di tagliola. Poi arrivò la ghigliottina. Adesso è il momento del canguro.

Una volta le mamme ci invitavano ad assumere un comportamento educato perché la gente ci osservava e non volevano fare brutte figure. I parlamentari italiani, invece, immemori degli insegnamenti materni, si coprono di ridicolo agli occhi del mondo, prendendosi per giunta sul serio: dovreste vederli in Parlamento come si attaccano al canguro, con quanto trasporto gli uni esultano per un emendamento che manda sotto il Governo e con quanta solennità gli altri esortano le truppe parlamentari ad andare avanti sul sacro sentiero delle riforme. Gli animi si surriscaldano a tal punto da indurre i più facinorosi a menare le mani in aula facendo del canguro una questione d’onore da lavare col sangue dell’avversario fellone.

Per non parlare poi della serietà con la quale i giornaloni che contano descrivono con dovizia di particolari la febbrile attività sotterranea di Renzi che parla con Berlusconi per fregare Alfano, mentre quest’ultimo ricatta il Cavaliere sulla legge elettorale sperando che la trattativa Vendola-Renzi fallisca su tutta la linea per diventare determinante anche nelle amministrazioni locali a guida Pd. E dovreste sentirla “radio serva” come bisbiglia del duo Verdini-Guerini in costante contatto telefonico e come spiffera di una Boldrini che incalza il Pd cercando di strappare il partito di Vendola dalla marginalità.

Roba seria, penserete. Macché, stiamo parlando di una riforma del Senato che in teoria è una rivoluzione mentre in pratica lo rende un baraccone inutile e per giunta infarcito di nominati attraverso una sorta di lotteria tra i portatori di voti provenienti dagli enti locali. Finita qui? No, arriverà poi la riforma elettorale (Italicum) che è un Porcellum transgenico sul quale si giocano i destini del Governo, quelli dei maggiori partiti e quelli del Quirinale. Perbacco, penserete: la Nazione si gioca il proprio destino su un canguro ed un porcello. Assurdo, ma vero. Ma siamo sicuri che a qualcuno interessi l’Italicum e la riforma del Senato? Siamo sicuri che tutto questo pathos nel mondo politico trovi riscontro nel Paese? Crediamo davvero che alla gente disgustata ed impoverita interessi una mezza riforma del Senato ed una legge elettorale? Siamo sicuri che per riconciliare il popolo alla politica non serva uno shock di tipo presidenziale e monocamerale con un Governo forte in grado di manovrare davvero il Paese?

Forse sì ma che ci volete fare, l’Italia è così: se il problema è la debolezza del Governo e la lentezza della macchina burocratica , loro salomonicamente sviano la questione applicandosi alla (mezza) riforma del Parlamento. Gli italiani sono quelli che celebrano un dramma nazionale come la Seconda guerra mondiale invece di ricordare il trionfo patriottico della Grande Guerra, sono quelli che trasformano un motivo di vergogna come il disastro della Costa Concordia nel trionfo del genio tricolore, sono quelli che si attaccano per ore e ore alla banana di Tavecchio nascondendosi i disastri di “Mare Nostrum”.

Immaginiamo già il sarcasmo con cui gli euro-burocrati con la puzza sotto il naso accoglieranno un Renzi che, impettito, mostrerà loro l’Italicum ed il Senato nuovo di zecca. Proprio quei burocrati che avevano chiesto riforme strutturali in tema di bilancio e di sviluppo, adesso si troveranno un Paese a crescita zero, pieno di buchi nei conti ma con un pateracchio Costituzionale nuovo di pacca e degno di un film di Totò.

E mentre il Bel paese si applica in maniera pessima al futile (e tutti lì a godersi lo spettacolo), a settembre scatteranno clausole di salvaguardia e manovre economiche lacrime e sangue. Ce lo chiede l’Europa? Questa volta no. Ce lo chiede la sciatteria di un premier che corre dietro alle tematiche gigione per strappare l’applauso rimuovendo, megalomane com’è, i suoi disastrosi risultati economici come se non gli appartenessero. Anche Padoan se n’è accorto e comincia lentamente a defilarsi. Cottarelli invece si è arreso ed ha gettato la spugna quando ha arguito che Renzi finanziava le sue menate propagandistiche con i risparmi potenziali (quindi futuri) di una spending review che non è nemmeno cominciata. Abbandonano la nave del megalomane senza basi che minacciò di cambiare verso e finì per somigliare troppo all’insipido Enrico Letta. Finale tragicomico. Scorrano presto i titoli di coda.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21