Dal cilindro di Alfano   un coniglio centrista

Pare che Angelino Alfano abbia in testa di salvare l’unità del Nuovo Centrodestra proponendo la formazione di un supergruppo di centro formato, in Parlamento, oltre che dagli esponenti del suo partito, da quelli dell’Unione di Centro, di Scelta Civica e dei Popolari. Se questa è la soluzione che il ministro dell’Interno pensa di aver trovato per dare una identità e un futuro agli scissionisti del vecchio Popolo della Libertà, è bene avvisarlo che si tratta di una soluzione fasulla. Non perché sulla carta non ci siano i numeri per mettere in piedi nelle aule parlamentari un’area centrista, capace di pesare maggiormente nel confronto con Matteo Renzi e di resistere con più efficacia ai richiami al ritorno alla casa di Silvio Berlusconi.

Ma perché i numeri presenti sulla carta ingannano: le vecchie centralità di stampo democristiano o post-democristiano “tornate in vita” hanno avuto sempre vita effimera e sono puntualmente naufragate al momento della verifica elettorale. E poi, quei numeri, non rivelano come in questo Parlamento non ci siano neppure le condizioni minime per dare vita a una temporanea formazione centrista, in grado di fronteggiare contemporaneamente sia il premier che il Cavaliere. Per avere informazioni sui significativi precedenti che lo dovrebbero sconsigliare di ripetere gli errori del passato, Alfano non deve far altro che informarsi presso uno dei tanti personaggi che negli ultimi vent’anni si sono scornati nel tentativo di riesumare, sia pure solo nel Palazzo, il cadavere della Democrazia cristiana. Basta che si rivolga a Casini, a Buttiglione o qualunque altro post-democristiano con qualche legislatura alle spalle per sapere come tutte le operazioni analoghe a quella da lui ipotizzata siano miseramente fallite.

Se poi non si fida di Casini, Buttiglione e dei vecchi ex Dc non deve far altro che rivolgersi a Gianfranco Fini per avere maggiori dettagli su come le operazioni neo-centriste abbiano come unico destino quello di sciogliersi come neve al sole. La ragione di questi fallimenti è semplice. Le formazioni centriste di Palazzo non poggiano sul consenso popolare. Servono solo a chi le realizza per conservare più a lungo il proprio scranno parlamentare e i propri privilegi. Ma non possono, proprio per questo motivo, avere il sostegno di chi ha interessi ben diversi da quelli egoistici dei dinosauri post-democristiani in via d’estinzione. Inoltre, proprio perché le operazioni centriste di Palazzo sono segnate esclusivamente dagli egoismi personali, non hanno possibilità di successo proprio perché erose al loro interno da inconciliabili e irrefrenabili personalismi. Non c’è bisogno che Alfano si affanni troppo per verificare l’esistenza di questo fenomeno distruttivo. Basta che guardi all’interno del Nuovo Centrodestra per averne la riprova.

I vari Schifani, Quagliariello, Lorenzin, Cicchitto, Lupi e compagnia bella giocano ognuno per sé. Né più, né meno di quanto siano abituati a fare da una vita i vari Casini, Buttiglione e Mauro o quel coacervo di parlamentari di Scelta Civica dove l’unico elemento in comune è il grido del “si salvi chi può!”. Alfano, dunque, si rassegni. Può fare ogni sforzo per rallentare l’esito della parabola della sua creatura politica. Ma non può impedire una conclusione scontata. Che è quella della divisione tra chi cercherà rifugio personale presso Renzi e chi presso Berlusconi e chi, non venendo accolto dall’uno o dall’altro, se ne dovrà andare mestamente a casa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29