La povertà che   non fa più notizia

In questi giorni la politica nostrana è presa dalla questione della riforma del Senato. Certamente si tratta di un tema centrale per la vita delle persone. Scene di panico, infatti, si sono registrate nelle strade tra cittadini sgomenti alla notizia che, forse, saranno solo 74 i senatori nominati dai Consigli regionali. Apprendere certe cose può essere fatale per chi è debole di cuore o per chi è digiuno da qualche giorno. Ma una volta tanto siamo seri!

Non è possibile che il dibattito su una riforma dell’architettura istituzionale dello Stato, per quanto importante, venga usata dal Governo come arma di distrazione di massa. Ci si occupa di alchimie di potere, fingendo di suonarsele di santa ragione tra opposte fazioni e, tanto per aumentare la confusione, pure tra sodali della stessa congregazione, mentre si oscura ad arte la realtà che, invece, quella sì è da brivido. Lo sa il premier, lo sanno le coriste della Schola Cantorum di Palazzo Chigi che è stato pubblicato un rapporto della Caritas dal quale si evince che i poveri assoluti in Italia sono aumentati da 2,4 milioni, censiti nel 2007, a 4,8 milioni nel 2012? E tutto lascia supporre che negli ultimi 18 mesi il dato abbia subìto una dolorosa impennata. Ma ci si rende conto dell’enormità della notizia, che, tra l’altro, poteva sorprendere soltanto chi vive scollato dalla realtà quotidiana? Non ritiene il Governo che questa sia la vera emergenza del Paese, visto che interessa l’8 per cento della popolazione italiana? Quel che è peggio è che, probabilmente, si tratta di un dato approssimato per difetto perché tiene conto soltanto del cosiddetto “emerso”, cioè di quella porzione di persone che hanno reso manifesta la loro condizione di povertà.

A fronte di questa, però, esiste un “sommerso” la cui estensione non si conosce dal momento che è reso impenetrabile dagli stessi interessati. Quanta gente, per pudore o per vergogna, non dice, non comunica e si ammala di inedia. Quanti sono morti lasciandosi andare? Quanti non hanno chiesto aiuto nelle debite forme e per questo non l’hanno trovato? Ci si trastulla inventando una ripresa economica che non c’è, un mondo di benessere che si è disintegrato e, intanto, non si fa nulla per soccorrere chi è stato messo in ginocchio e umiliato dalla crisi.

Matteo Renzi per molti ha rappresentato una sorta di ultima chiamata alla speranza. Il fatto che si stia rivelando anch’egli un ciarlatano e un venditore di fumo non diverso dalla schiatta dei medocri politici che lui avrebbe voluto rottamare, non ci provoca alcuna gioia. Al contrario, aumenta in noi la preoccupazione che l’equilibrio sociale nel nostro Paese stia per saltare. Se qualche idiota ha pensato che avesse ragione l’Europa a chiederci i sacrifici che stiamo sopportando in nome di un’ineludibile evoluzione darwiniana della specie “europea”, ha preso un granchio tanto grosso da condirci gli spaghetti. Faccia molta attenzione questa classe di Governo e, in genere, l’intera classe dirigente di questo Paese, perché tante persone portate alla fame ed alla disperazione non è detto che si tolgano dai piedi senza fare rumore.

Alcuni dei virgulti svettanti che calcano l’odierna scena politica, per darsi un tono, dicono di rifarsi culturalmente agli insegnamenti dell’Illuminismo. Cianciano di un’ideale ascendenza che si collocherebbe nella gloriosa storia della rivoluzione francese, nello stesso luogo dove avrebbe avuto i secondi natali questo capolavoro di nuova umanità. Se è così, allora che andassero a riguardarsi i certificati di nascita. Ne scoprirebbero delle belle. La fame, non le idee, armò la mano del popolo. Sono passati quasi tre secoli e con tutto il cammino fatto, con tutti i sacrifici umani consacrati alla gloria dell’onnipotente divinità del progresso, stiamo ancora a parlare di povertà, di gente senza lavoro, di tanti, di troppi che l’hanno perso, d’insostenibilità dell’esistenza. Se dunque siamo tornati indietro, vuol dire che ritorna pure la voglia di tagliare teste, di fare saltare il banco cosicché tutto quanto è stato fino a oggi certezza e benessere diventi sabbia nella clessidra della Storia.

Attenti dunque che se si affonda, si annega insieme. Non ci saranno scialuppe di salvataggio riservate a quelli della prima classe. La sensazione, dal retrogusto amaro, è che in questo momento pochissimi nel Paese abbiano contezza di come stiano davvero messe male le cose per una porzione cospicua di popolazione. Gli altri danzano allegramente sul ponte del Titanic. Qualcuno penserà che ci si diverte a fare gli uccelli del malaugurio. Non è così. La verità è che vorremmo vedere un Governo impegnato seriamente a restituire ai cittadini l’unica cosa di cui essi hanno bisogno per continuare a vivere: la dignità. Pare, invece, che quest’argomento non sia all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri. Se è così, come si fa a stare allegri?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19