
Ebbene sì, siamo in piena temperie, diciamo così, morale (orrenda parola multiuso dell’ipocrisia nazionale), ispirata all’Ordalia. L’antico rito della punizione del reo secondo un giudizio risalente al Medioevo. L’ordalia indica il “giudizio dei Dio”, ovvero ogni prova, sempre più rischiosa, alla quale veniva sottoposto un accusato, ed il cui esito, considerato come diretta manifestazione della volontà divina, era decisivo per il riconoscimento dell’innocenza o della colpevolezza dell’accusato.
Il Medioevo non era il secolo dei lumi, si sa. Ma c’era almeno la scusante che l’organizzazione dell’operazione dell’ordalia si ispirava all’essere supremo, Dio, mediato dagli ecclesiasti. Con i secoli tale sistema, vagamente mistico, si modernizzò. Finché sopraggiunse il secolo dei lumi, che cambiò l’essere supremo, non di nome, ma di fatto, attribuendolo alla Dea Ragione, sovrintendente alle nuove Ordalie, ispirate all’uguaglianza, oltre che alla fraternità e alla libertà.
Ne derivò durante la Rivoluzione Francese l’estremizzazione di questo “essere supremo”, affatto laico e incarnato dai Giacobini che incaricarono alla bisogna “ordalica” uno strumento tanto infallibile quanto ugualitario e pure risolutivo: la ghigliottina. Intanto, la manipolazione laica dell’Ordalia in nome di Dio la tramutava in un’azione in nome del popolo. Da Dio lo vuole, al Popolo lo vuole, il passo è breve. Voi mi direte: ma con tutto questo ambaradam dove si vuole arrivare? E che c’entra coi nostri tempi? Soprattutto con la politica? C’entra, c’entra…
Prendiamo il caso Galan, che apparentemente sembrerebbe lontano anni luce dalle minacciose ombre medioevali con relative applicazioni dell’ordalia. Galan, ex governatore veneto e pure ex ministro (non brillò ai Beni culturali, diciamocelo) ed attualmente deputato, nonché amico del Cavaliere e di Dell’Utri, è stato indagato dai giudici veneziani per il caso Mose con la richiesta di arresto pendente davanti alla Camera dei deputati. Dove esiste l’immunità parlamentare, voluta dai Padri Costituenti nel dopoguerra, anche se modificata sciaguratamente nel 1993 in seguito alle “monetine del Raphael” assurte ad una vera e propria vox populi che spinse quel Parlamento a spogliarsi di una parte consistente di quell’immunità, lasciando inalterate e semmai aumentandole, quelle dei magistrati con il loro Csm.
A noi non interessa, astrattamente, che Galan sia colpevole o innocente. Fermo restando che si è colpevoli dopo il terzo grado di giudizio. E che si deve andare in carcere dopo un regolare processo. Le cose stanno così, per il deputato Galan? Non sembrerebbe, a sentire la giunta per le autorizzazioni che ha optato per l’arresto dopo che la Camera lo deciderà o meno. O meno? Non pare proprio. Anzi, l’immunità - rimasta solo per l’arresto - sembra addirittura messa in discussione dalla Boschi e compagnia cantante riformatrice (forse per un colpo di sole, pardon, per qualche bomba d’acqua). Figuriamoci nella Camera, dove si dovrebbe parlare soltanto di fumus persecutionis versus Galan, in mancanza del quale anche uno degli ultimi amici personali del Cavaliere vedrebbe spalancarsi le porte della prigione.
Il punto vero, a ben vedere, non è soltanto il fumus persecutionis. È il fatto in se stesso e le ragioni che spingono fatalmente i deputati a “condannare” l’ex governatore e deputato. Il fatto, innanzitutto, di essere parlamentare e di godere di una immunità - tramutata da molti in impunità - che cozza, secondo la vox populi, contro il principio di uguaglianza. Ma un parlamentare, colui che fa le leggi cui devono attenersi i giudici che le applicano, non può non godere di un’immunità. Non è dunque uguale a tutti. Altrimenti a che serve il Parlamento? Naturalmente non deve assolutamente abusarne. Non deve commettere reati, si capisce. Ma, in nome della Dea uguaglianza, la voce che sale dal Paese, dal Pd soprattutto, è che il deputato Galan deve obbedire alle decisioni della magistratura. Ma Galan, che è pure cittadino, gode dei principi di legge che prevede l’arresto solo in caso di reiterazione del reato, di fuga e di manipolazione delle prove. Ricorrono questi estremi? Pare proprio di no. Ma non importa, dice qualcuno, il Parlamento deve dare il buon esempio giacché la legge è uguale per tutti.
Uguale, a parole. In realtà è assurta a lotta politica in cui la convenienza fa aggio sulla verità secondo una logica doppia che è retaggio di molti del Pd. Il caso Errani è lampante. È la convenienza politica, oltre che la mala pianta del giustizialismo, che urge nel voto contro, che lo motiva. Ovviamente si deve mascherare l’operazione in nome di alti principi etici. Adattando l’ordalia medioevale ai nostri tempi hi-tech, ma la sostanza è sempre quella: in galera! Si reclama la vox populi, la suprema Cassazione della “ggente”. In una sorta di giudizio ineluttabile dove i tanti Ponzio Pilato presenti in Parlamento grideranno: volete Cristo o Barabba? E magari se ne pentiranno. Ma a babbo morto.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25