
Il processo Ruby è solo uno degli anelli di una lunghissima catena iniziata nel 1994 e diretta a chiudersi attorno al leader del centrodestra italiano. Questa catena è costituita dall’uso politico della giustizia applicato con sistematica determinazione ai danni del Cavaliere e che ha portato ad una serie di condanne penali a carico di Silvio Berlusconi, da cui è derivata l’espulsione dal Senato dell’ex presidente del Consiglio e attuale presidente di Forza Italia. Il tutto potrebbe provocare effetti ancora più pesanti se nei futuri processi dovesse essere applicata quell’aggravante specifica che scatta regolarmente a carico dell’imputato Berlusconi, per la duplice circostanza di chiamarsi Berlusconi e di essere il leader capace di contrastare per vent’anni di seguito la sinistra italiana.
Non c’è bisogno di entrare nel merito dei procedimenti riguardanti Berlusconi, sia quelli che si sono conclusi che quelli ancora in corso, per rilevare il fenomeno di persecuzione giudiziaria che si è verificato ai suoi danni. Anche i nemici più accaniti del Cavaliere, adeguandosi ad un comune sentire generalizzato dell’opinione pubblica italiana, riconoscono (magari benedicendolo) che ci sia stato nei suoi confronti un certo accanimento.
Ed è proprio dal postulato della persecuzione giudiziaria, non da dimostrare perché nei fatti, che va sollevata la questione del rischio gravante sulle riforme istituzionali in corso ovvero la deriva autoritaria della nostra democrazia. Chi manifesta il timore che le riforme di Matteo Renzi possano essere indirizzate a creare un regime autoritario sul modello di quello realizzato da Putin in Russia dovrebbe considerare che tale pericolo è acutizzato dal fenomeno della persecuzione giudiziaria. Cioè dall’esistenza più che ventennale di un uso politico della giustizia ai danni di ogni personaggio in grado di coagulare uno schieramento alternativo a quello della sinistra.
Dopo la caduta del muro di Berlino è toccato a Giulio Andreotti ed a Bettino Craxi. E dopo l’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica lo stesso trattamento è stato riservato a Berlusconi. Di fatto l’uso politico della giustizia, cioè la persecuzione giudiziaria ai danni degli avversari della sinistra, ha inceppato il meccanismo della democrazia dell’alternanza e ha creato le condizioni per quella democrazia autoritaria che, secondo la minoranza del Partito democratico, oggi Renzi vorrebbe realizzare a suo vantaggio in Italia.
C’è un paradosso bizzarro in questa vicenda ed è rappresentato dalla circostanza che ad avversare nel Pd Matteo Renzi sono proprio quelli che più di tutti hanno chiesto e ottenuto l’uso politico della giustizia ai danni dell’avversario storico Berlusconi. E c’è anche un secondo paradosso, costituito dal fatto che il leader azzoppato dalla persecuzione giudiziaria, a rischio di incarcerazione ed a cui viene impedito (dalle aggravanti giudiziarie ad personam) di tornare ad aggregare il centrodestra, possa essere il fattore decisivo per l’approvazione delle riforme di Renzi. Ma i due paradossi non cancellano il dato di fondo rappresentato dalla democrazia dell’alternanza inceppata dall’uso politico della giustizia e predisposta da questa anomalia a trasformarsi in democrazia autoritaria. E rendono indispensabile, non solo per dare giustizia a Berlusconi ma anche per dare sicurezza democratica al Paese, sciogliere il nodo della giustizia piegata agli interessi di parte, procedendo ad una radicale riforma del sistema giudiziario e della categoria che lo gestisce.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28