
Qualche giorno fa le cronache sono state invase da una foto di gruppo, di vecchi compagni di scuola in visita davanti a Montecitorio. Una gita premio? Una vacanza? Una visita al palazzo del Potere, pardon, della Casta? Macché. Si trattava di una comitiva scelta di rappresentanti del fu centrodestra chiamati da una sorta d’impulso di sopravvivenza a firmare un referendum, l’ennesimo, per correggere (si presume) “l’Italicum”.
Il centrodestra d’antan, quello che aveva migliaia di voti, che governava per anni. Che possedeva un’icona, un aggregante, un capo, l’unico, irripetibile, che garantiva collanti e alleanze. Che non c’è nella foto, non c’è nemmeno Pier Ferdinando Casini, per fortuna sua. Una foto con quell’assenza storica doveva comunque impensierire. Ma forse la scusa dell’impedimento giudiziario insinuava un’impossibilità insuperabile, strutturale, chissà. Sorridevano, questi bravi ragazzi. Si ritrovavano, forse per la prima volta dopo mesi - dopo la scissione del Pdl alcuni e dopo il Governo Monti altri - e si complimentavano vicendevolmente, posavano per una fotografia. La quale, come si sa, è apparenza, labilità, immagine ingannatrice colta dalla realtà la quale, la realtà, è tutt’altra cosa. Ma i personaggi della foto non lo sapevano questo; anzi, erano convinti di autorappresentare il “verum”, o meglio, il vero che desiderano.
Il vero, la verità, trasportata dal passato di loro stessi e reso presente, e dunque futuro, dalla fotografia. Che, pure, sarebbe un certificato, una sigla, un passaporto visivo e comunicativo di una storia. Che è finita. Finita per sempre. Loro lo sapevano? Lo sanno? Forse. Ma non importa. Importa la foto che, come si sa, parla da sé. Dovrebbe, almeno, rivolgersi agli altri, a noi utenti, con una forza intrinseca convincente, come un messaggio. Un’indicazione e, al tempo stesso, una testimonianza, possibilmente a futura memoria. Invece chiunque ha capito, fin da subito, che c’era qualcosa di falso, di ingannevole, di fiction, di semplice esposizione occasionale, proprio come in un dagherrotipo fin de siecle dove, pure, la storia ha il suo primitivo significato.
Invece, la percezione è stata di un’improvvisazione, benché organizzata. Non dunque memorizzante, ma testimoniante di un passato che non ritornerà mai più. L’irriducibilità semantica dell’immagine inganna sempre, peccato che l’inganno, ancorché dolce, sia piombato su una categoria speciale, dei politici, che dovrebbe avere come linea guida l’uso dell’inganno contro gli altri, mai contro sé stessi. Ha avuto buon gioco l’onorevole Manuela Repetti a commentarla con l’amarezza liquidatoria di chi ha afferrato un dato: che la compagnia di vecchi compagni di scuola con ormai vite totalmente diverse si è dissolta e, semmai, la loro foto di gruppo sancisce la dura certezza di non aver capito niente di ciò che è accaduto. Questo il punto.
Mettere insieme Giovanni Toti con Matteo Salvini, Nunzia De Girolamo con Guido Crosetto, Gaetano Quagliariello con Renato Brunetta e via mescolando come in uno shaker impazzito, si rischia di servire un cocktail micidiale. Giacché il solo pensiero che questi vecchi “compagnon de route” si rimettano insieme, non soltanto fa venire i brividi, ma è del tutto impossibile. Non rispettoso del buon senso della “gente”. Offende innanzitutto la politica, che pure ne ha subite tante di offese. Perciò è arduo riprendersi davanti alle macerie. E ripartire, non dalle foto ma dai fondamentali abbandonati colpevolmente negli anni dello scialo, dell’indifferenza, della dissipazione di un’imponente patrimonio elettorale. Dove sta l’inganno? Sta nell’illusione che la politica ritorni al passato, e che il passato di una politica costituisca un aiuto, una riemersione, un viatico.
Fu l’errore, invero sintomatico, di essere ritornati a chiamarsi Forza Italia dopo le catastrofiche scissioni del Pdl. E senza ragionare che proprio quell’imbarazzante ritorno si rovesciava come un guanto d’accusa per i fallimenti cui, non a caso, l’allora delfino Angelino Alfano non fece mai alcun cenno autocritico, magari immergendosi in una Bad Godesberg di destra insieme alla compagnia cantante e celebrante che per anni si era guardata bene dal fare la classe dirigente e, soprattutto, dall’allevarne una nuova. Che fare? Una cosa, innanzitutto: basta foto di gruppo. E cominciare a pensare. Prima che l’Italicum e l’abbandono dei fondamentali, cioè della politica, esondino come il Seveso
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 17:07