Il “Paneuropeismo”   giuridico e culturale

Elevati livelli di qualità ed etica della professione legale sono condizioni necessarie per salvaguardare l’indipendenza dell’avvocato da ogni potere, per rafforzarne la funzione nell’interesse generale, per limitare i condizionamenti derivanti dal prevalere delle regole del mercato e della concorrenza selvaggia. In un mercato multifunzionale e transazionale quale quello del tempo presente, con un’emergenza economica sempre più assorbente e omnipervadente, vi è bisogno più di prima di conservare i princìpi che hanno reso l’avvocatura gloriosa e tutrice dell’interesse della collettività, ma anche seguire il cambiamento, cambiando anzitutto l’anima degli avvocati e la logica della professione, che da chiusa deve divenire aperta.

Nel contesto delle attuali politiche liberistiche, che pongono il mercato su un piedistallo dorato, imponendo lo stesso quale suprema divinità che ispira e controlla i movimenti e le aspirazioni di centinaia di milioni di persone, la classe forense deve acquisire al meglio gli strumenti culturali, informatici e di intervento, per modernizzare la professione, ma anche per conservare la tradizione. È quanto mai irrinunciabile una formazione culturale e giuridica fondata su regole comuni e su obiettivi convergenti, nel comune quadro di riferimento europeo, al fine di promuovere la circolazione e i contatti degli avvocati nell’Unione Europea. Nonché riconoscere e sostenere le attività formative svolte dalle istituzioni degli avvocati, quale contributo allo sviluppo economico e civile della società e non come mera propalazione di astrazioni concettuali, troppo tecniche per essere comprese dai cittadini.

Noi siamo indiscutibilmente eredi dei nostri padri, che hanno costruito col sacrificio di millenni questa civiltà ma, a differenza degli stessi, oggi non sappiamo più sognare in grande, non sappiamo proiettare il faro della coscienza oltre la soglia della nostra casa, le nostre ambizioni sono uccelli senza ali, i nostri progetti hanno un orizzonte temporale limitato, tutto deve essere bruciato nel volgere di poco; si costruisce per l’oggi e non si pensa alle future generazioni, quelle che verranno dopo e anche molto dopo noi. Eppure sarebbe nostro dovere farlo. Ma come può uno Stato nazionale indebolito e senza personalità, perché non più fondato sulla coscienza della giustizia e dell’equità sociale e quindi preda della nuova sacra scienza delle leggi economiche, fuorvianti - in quanto assorbono l’intero universo della vita riconducendolo solo alla prospettiva materialistica - tutelare i più deboli?

È per tale motivo che, in quest’ottica di consapevolezza allargata, nessuno di noi vuole, ove di coscienza onesta, la politica del panem et circenses, poiché la civiltà occidentale è pervenuta ad un livello di sviluppo tale da poter ambire a ben altro che questo. Nella polverizzazione dei confini strutturali ed economici, imposti dalla cosiddetta globalizzazione, gli avvocati devono divenire ancora una volta protagonisti e creatori degli Organismi che tutelano il benessere collettivo, attraverso la tutela della legalità, della giustizia e dell’equità sociale, secondo il principio “Orbis sub legis imperium” e non vittime sacrificali degli scambi culturali, linguistici e di pensiero.

(*) Avvocato e presidente di “Avvocati per l’Italia”

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19