
Ma cosa sta accadendo in Forza Italia? Sulla riforma del Senato si è animato lo scontro tra le diverse anime del partito. Che si discuta è un segno incoraggiante perché il dialogo resta pur sempre il primo indicatore dell’esistenza in vita di un’organizzazione. Ora, la questione che tiene banco riguarda l’elezione diretta o meno dei futuri senatori. L’ultima proposta in campo si sostanzierebbe in un’elezione di secondo livello.
In pratica la quota maggioritaria della rappresentanza sarebbe di nomina dei Consigli regionali. Contro questa soluzione e, più in generale, contro l’ipotesi che non sia il corpo elettorale a scegliere direttamente i suoi rappresentanti anche al Senato si è espressa una pattuglia di parlamentari del Partito Democratico. Della cosa i giornali hanno notiziato ampiamente l’opinione pubblica, anche perché vi è stata la vicenda della rimozione dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato del senatore Corradino Mineo, fiero oppositore del progetto di legge, decisa d’autorità dal capogruppo del Pd, Luigi Zanda. Mineo avrebbe dovuto portare la voce del suo partito nella sede parlamentare deputata a discutere e licenziare il testo della riforma.
Sul presupposto che non l’avrebbe fatto, lo hanno neanche tanto garbatamente accompagnato alla porta. Ma non ci sono soltanto loro, i resistenti del Pd, ad attestarsi sull’odierna “linea del Piave”. Meno notata, ma altrettanto seria è invece l’onda d’opposizione che sta montando all’interno di Forza Italia. I ben informati sostengono che la crisi non durerà a lungo dal momento ché sarà Silvio Berlusconi in persona a chiudere la pratica, dettando la linea ai gruppi parlamentari. Forse già in settimana vi sarà il suo intervento. Ciò accade perché l’ala “collaborazionista” del partito ha convinto il leader che, più del contenuto, conti il fatto di non essere tagliati fuori dal percorso riformatore. Si tratta di una preoccupazione fondata. Tuttavia, sarebbe opportuno interrogarsi se sia giusto che le necessità tattiche del confronto interno ed esterno a Forza Italia facciano aggio sull’interesse generale del Paese a ricevere una buona legge. Messa così la questione, si comprende quanto siano sensate le preoccupazioni di coloro che valutano un pasticcio il testo in discussione.
Rafforzare i poteri delle regioni da un lato, mentre da un altro le si individua come la fonte principale dello sperpero di denaro pubblico e di cattiva gestione della macchina della Pubblica amministrazione, è una contraddizione in termini. Forza Italia avrebbe dovuto spendersi con maggiore vigore per una modifica dell’impianto istituzionale che, in prospettiva, potesse ridefinire il perimetro non soltanto delle competenze ma anche quello propriamente dimensionale delle regioni medesime. Così come sono oggi, assomigliano a dei carrozzoni dove è possibile fare ancora quelle politiche di assistenzialismo clientelare che altrove non è più consentito.
Di là dalla riforma del Titolo V della Costituzione, la destra italiana dovrebbe riconsiderare attentamente il futuro degli enti regionali quali attori primari nella gestione delle politiche territoriali. Non si tratta di tradire il progetto del federalismo. Al contrario, soltanto cassando ciò che di sbagliato e di corrotto è rinvenibile nel livello intermedio della piramide statuale sarà possibile delineare, in un futuro prossimo, una struttura più snella, meno costosa e realmente rispondente all’esigenza che il Paese ha di mettersi in pari con la gli standard europei di buona amministrazione della cosa pubblica.
Pensare, dunque, di votare una legge che modifichi in radice l’architettura centrale dello Stato soltanto per tenersi a ruota di Matteo Renzi e mancando, invece, del senso prospettico dell’azione politica di lungo raggio, è un errore grave. Non sappiamo quanti altri errori questo centrodestra possa ancora consentirsi visto che, ad oggi, ne ha accumulati parecchi. Ciò che appare certo, e i dirigenti di Forza Italia dovrebbero averlo capito, è che mostrarsi arrendevoli e collaborativi in vista di chissà quale futuro gesto di riconoscenza della controparte è una mera illusione. È ingenuo chi ci crede.
Quelli che vengono dalla storia “gloriosa”del Pci e quelli che con la tradizione comunista ci si sono imparentati in seguito, sono sempre uguali a se stessi, prendono quando hanno bisogno e, alla prima occasione, ti voltano le spalle ricordandosi che dalla loro c’è la sbandierata “superiorità morale”. Non più tardi dello scorso anno erano al Governo e li teneva in piedi il sostegno offerto dal partito di Berlusconi. Quando si trattò di votarne la decadenza, lo scaricarono senza troppi riguardi. Loro sono così. Non cambiano. La destra, invece, saprà guarire da quella “sindrome da spogliatoio” che l’affligge da quando ha rinunciato a rivendicare la propria identità ontologica?
Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 14:23