
In troppi s’interrogano sul come salvare l’Italia dal baratro. La risposta sembrerebbe solo quella di accelerare la fine del sistema per poi ripartire da zero. Ovvero augurarsi una celere apertura del fallimento dello Stato italiano presso un qualsivoglia tribunale dell’Ue. E cittadini ed imprese private cosa possono fare per staccare la spina al tirare a campare di Matteo Renzi e soci?
Il popolo italiano non è capace di scelte coraggiose, come il non pagare più alcun balzello (dall’Imu alla Tasi passando per Tarsu ed altro ancora), e le imprese di piccole e medie dimensioni hanno un cuore troppo tenero per licenziare tutti i dipendenti. Solo la disobbedienza fiscale e la disoccupazione di massa potrebbero far collabire il sistema, permettendo di datare con certezza il primo giorno del nuovo corso. Diversamente dovremmo solo aspettare, armati di tanta pazienza, l’estinzione naturale del sistema. A confortare l’analisi provvedono le statistiche del Centro studi di Confindustria: “Tre milioni di persone povere in più (+ 93,9%), 3,7 milioni in più cui manca lavoro (+ 122,3%)…”. Confindustria spiega in cifre come la politica economica abbia lavorato all’impoverimento dal periodo pre-crisi sino ad oggi (in tre anni la stretta mortale): “-9% Pil, -23,6% produzione industriale, -43,15% costruzioni, -8% consumi famiglie, -27,5% investimenti, -7,8% di occupazione e quasi 2 milioni (1,968) di unità di lavoro perse solo nell’ultimo biennio”.
Così gli economisti di Confindustria hanno rivisto in forte regresso le previsioni per l’economia italiana nel biennio 2014-2015. Il Centro studi di via dell’Astronomia prevede ora che “il Pil dell’Italia si fermerà al + 0,2% nel 2014, un taglio rispetto alle previsioni del scorso dicembre che indicavano un + 0,7%: per il 2015 la crescita attesa scende dal + 1,2% al + 1%”.
È ovvio che un organismo istituzionale come Confindustria non possa invitare i propri iscritti ad una diserzione fiscale di massa, ma nemmeno ad un piano licenziamenti utile a boicottare la cecità economica di banche e Governo. Però, chiunque legga questi dati e voglia accelerare la ripresa sa che non c’è altra strada che licenziare ed evitare di pagare tasse e contributi: tutte risorse economiche che andrebbero accantonate (ovvero occultate) per quando sarà possibile la ripresa, ovvero dopo l’acclarato fallimento della Repubblica italiana.
Confindustria ammette che da quando c’è Renzi un altro milione di persone ha perso il lavoro. “È necessaria una scossa politica molto forte - confessa Confindustria - La manovra correttiva non serve, inopportuna”. Il Centro studi di via dell’Astronomia spiega che il numero di disoccupati si raddoppia tecnicamente in termini di Ula, ovvero il dato statistico che serve a misurare l’unità media di lavoro. E Confindustria così lo calcola e lo esemplifica per gli addetti ai lavori: “L’occupazione misurata con le unità di lavoro cade dello 0,6% nel 2014 e sale dello 0,4% nel 2015. La turbolenza politica rimane un freno, seppure si sia molto attenuata e abbia preso corpo nel Paese l’aspettativa di importanti riforme”. Aspettativa oggi in calo, perché le imprese non vedono materializzarsi le politiche fiscali che permetterebbero la ripresa, dal canto suo il Governo ha ammesso di non poter fare nulla per l’impresa: alla Germania non garberebbe la ripresa del mercato interno italiano e l’Ue non intende mollare sull’austerità. “In questo scenario - ammettono gli industriali - la morale è che è necessaria una scossa politica molto forte per riportare l’Italia su un più alto sentiero di sviluppo. Non appare necessaria né opportuna alcuna manovra correttiva”. In maniera diplomatica gli industriali tifano per il fallimento dello Stato: del resto è meglio che caschi il pubblico piuttosto che il privato, unico germoglio per la futura ripresa. Sul fronte dei conti pubblici, in particolare del debito pubblico, secondo gli economisti di Confindustria, “la strada maestra per ridurlo è il rilancio della crescita; la sola austerità è controproducente”.
Confindustria guarda “ai numeri dell’economia con realismo, nei momenti migliori come nelle fasi più critiche”. Ma oggi il quadro di previsioni economiche è al ribasso per via dell’Astronomia. Il presidente di Confindustria ammette che “l’Italia ha le persone, le risorse e le potenzialità per superare le difficoltà che stiamo vivendo. I numeri non registrano poi la percezione degli imprenditori, l’esperienza e l’empatia che hanno con il Paese”. Parole che denunciano come per l’impresa sia scaduto il tempo dell’attesa, mentre dalla politica chiedano ancora sacrifici e di aspettare.
Anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti (nella foto), ha preso coscienza di come non sia possibile reinserire i disoccupati nel circuito lavorativo: così ha proposto un piccola pezza al sistema, l’allungamento di un anno a tutte le tutele. Ma con che risorse si potrebbero pagare i nuovi ammortizzatori? La proposta del Governo prevede di prolungare di un anno le salvaguardie. Ed ecco le prime disparità: “Solo chi maturerà il diritto nell’arco dell’anno prossimo sarà incluso nelle salvaguardie”. Il ministro del Lavoro ne fa cenno a margine di una cerimonia all’Accademia del Lincei, generando non poca preoccupazione tra accademici e vertici della burocrazia. Intanto anche Graziano Delrio, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, continua ad attorcigliarsi sul fatto che le fantasmagoriche riforme (una via di mezzo tra il magico cataplasma renziano ed il rimedio miracoloso di Wanna Marchi) possano provocare “uno shock positivo”. A cosa non è dato saperlo. Poi Delrio parla dell’effetto mirabolante degli 80 euro, per lui ancora sottovalutato dagli operatori economici.
Un Esecutivo davvero coraggioso, anzi spericolato, forse incosciente. In questo caso un avvocato coscienzioso consiglierebbe a chi amministra l’Italia di portare i libri nel meno peggiore tra i Tribunali dell’Ue. Se si vuole salvare il tetto dei privati è auspicabile che oggi fallisca lo Stato, il pubblico. Se si aspetta o, peggio, se si continua a confidare sulla vendita dei titoli di Stato e sul pagamento delle tasse, si corre il rischio di coinvolgere i privati nel fallimento del pubblico. L’Italia ha le ore contate.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 17:04