Cinguettii fra squali,  barracuda e sesti figli

Si fa presto a fare un tweet. Il problema è di far conoscere, far sapere, dialogare, proporre, interrogarsi, rispondere. Per qualcuno è l’opposto: scomparire, farsi ignorare vita natural durante. Possibilmente per omnia saecola saeculorum. Il che pare interdetto dalle diaboliche invenzioni connaturate al personale computer.

Capita, invece, che scatti ogni mattina in noi l’attrazione fatale per quei “pizzini elettronici” lasciati cadere come sassolini indicatori dalle menti dei migliori - per intenderci gli ex politici attivi di mente - cosicché, dopo l’insostituibile colazione propulsiva di “Dagospia”, andiamo a scegliere fior da fiore, sassolino da sassolino. Accade anche, sfortunatamente, di imbatterci in qualche blog, vedi quello di Grillo & Casaleggio, che non ci dimentica ogni qual volta gli tiriamo una frecciatina. La risposta è sempre una valanga di quella roba lì. Sono fatti così, le assomigliano.

Torniamo a bomba, anzi al Decamerino. Che non è esattamente un Twitter e neppure un blog, ma qualcosa del genere: un link aggregato al pregevole sito “Linkiesta” di quel giornalista di vaglia che è Marco Alfieri. “Il Decamerino” è un giochino, fin dal titolo, ma nel diminutivo si nasconde la splendida perfidia della politica. Del politico, o ex, che è ancora meglio. È lui o non è lui? Certo che è lui! Nuccio Abbondanza. Il Decamerino, con educate scuse a Boccaccio, beninteso. Nomen omen, starei per dire, grazie al fervore delle definizioni appioppate ad abundantiam, appunto. Ma con grazia direi settecentesca e, soprattutto, mirata. Eh sì, perché voi dovete sapere che Nuccio proviene dai sacri (si fa per dire) lombi del fu partito di lotta e di Governo: il Pci. Chiarendo subito che il suo vero padre politico fu il mitico Amendola che anticipò temi riformisti, persino socialdemocratici, comunque anticonformisti in quella plumbea assemblea togliattian-berlingueriana dalla quale uno come l’inquieto Abbondanza non poteva che essere espulso. Con lui la preparata Artioli, il grande Gigi Da Rold, Coppari, ecc. Sveglio, polemico, attivo. Fu nel tempo manager valoroso e capace amministratore pubblico, ottimo e indimenticato presidente dell’Istituto dei Tumori di Milano, che condusse all’eccellenza. Piacque a Bettino Craxi, in quei Sessanta ruggenti di politica. Gli piacevano gli ex, diceva qualcuno fin d’allora. Tipo Martelli, già del Pri, o Finetti (Pci) e Nino Seniga, col suo “Bagaglio che scotta” e l’immortale Spartaco Vannoni, più avanti tanti cattolici cappeggiati dall’immortale Gennaro Acquaviva. In realtà a Bettino Craxi piacevano gli eretici, come quelli citati e altri ancora. Perché anche lui era essenzialmente un eretico, cioè un riformista; parola dannata, proibita, sporca, brutta e cattiva. Ma questa è un’altra storia.

A me piace il Decamerino. Vi cito alcuni articoli recenti. Forse il più ficcante nella sua puntuta elaborazione riguarda Berlusconi e Renzi – il duo emerso dai flutti torbidi del ventennio e nel passaggio dalla Prima alla Terza Repubblica – e intitolato: “Lo squalo (Berlusconi) e il barracuda (Renzi) si spartiscono il terreno di caccia”. Lascio perdere la spiegazione, perché le due denominazioni, risalenti a qualche mese fa, colgono l’essenza squisitamente politica dei due personaggi dei quali, il primo, pare sempre più uno squalo addomesticato, quasi da zoo acquatico. Ma sempre squalo è. Mentre il barracuda Renzi guizza pericoloso e affamato di riforme e di avversari coi dentini aguzzi di ferro, quelli di chi non molla la presa fino a dissanguarla. Vero Mineo? E vabbè.

Un altro Decamerino somiglia a una sentenza: “Intera etnia scompare: i comunisti italiani”. Imprudenti, distratti, mentre il barracuda li puntava. Ma il petalo migliore della rosa va scovato a Livorno, patria degli scherzosi sfacciati del Vernacoliere e, soprattutto, delle teste false, ricordate, di Modigliani. Lapidario, di nuovo, il nostro: “Livorno, dalle teste false di Modigliani a quelle di Gramsci e Togliatti” (annichilite dal voto grillino, dopo settant’anni di potere, diciamo noi). Passiamo ad un altro tweet, a un messaggio nella bottiglia elettronica che leggo spesso, tanto più che lo firma Biagio Marzo, un caro amico e collega, compagno di comuni impegni e lotte politiche, legato a Craxi nella buona come nella cattiva sorte. E un po’ eretico anche lui, provenendo dal ceppo di quel De Michelis che resta fra i più importanti leader e ministri socialisti che ci siano stati. Uno che, insieme a Sacconi ed a Biagio Marzo costituirono la molla decisiva che spinse lo stesso Premier di allora a fare il decreto di San Valentino (con relativa vittoria al referendum del 1985). Non male, vero? Biagio Marzo, peraltro, ha scritto col suo “Fatti e misfatti delle privatizzazioni” del 2004 uno dei testi più interessanti - e polemici, si capisce - sugli errori di destra e sinistra in quel campo di Marte che furono le nostrane e spesso improprie privatizzazioni.

Biagio Marzo, ve l’ho anticipato, cinguetta, e cinguettando colpisce e affonda, ma sempre con un suo tipico mood, uno stile, una sintesi educata. Delle prove? Eccole servite col cinguettio: “Gli italiani e la rivoluzione. Non la fanno: la Marcia su Roma non lo fu. Il 25 luglio dimisero il Duce, la Prima Repubblica liquidata per via giudiziaria, Napolitano: tentano con un libro” (di Alan Friedman ma non solo, ndr). Ce anche un tweet vagamente enigmatico: “Silvio ha il sesto figlio”. Figlio? Sesto? Non ho capito bene se si tratti di Toti il placido o di Renzi il barracuda, chissà. Ma il migliore resta sempre, come una griffe indelebile o una targa commemorativa, questo tweet: “Nella Prima Repubblica i soldi servivano per la politica. Nella Seconda la politica serve per fare soldi”. E ho detto tutto. Aspettiamo il cinguettio a proposito della Terza Repubblica.

Intanto godiamocene uno di Gad Lerner, tratto dal suo blog, a proposito di paragoni fra Craxi (sì, proprio lui) e Renzi: “Ne deve mangiare ancora di polenta Renzi per arrivare a Craxi!”. Incredibile ma vero, detto da Lerner. E il bello è che fra le tante massime craxiane spiccava questa: “La politica non è polenta!”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23