
Il Terzo Polo si è ormai squagliato. E la vicenda di Mario Mauro è la testimonianza lampante di questo singolare evento. Perché sarà pure vero, come ha denunciato lo stesso Mauro, che la sua rimozione dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato è stata “un omicidio politico su mandato esterno” operato dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e dal gruppo dei Popolari per l’Italia su sollecitazione diretta del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ma è ancora più vero che il cosiddetto “omicidio politico”, proprio perché commesso dai Popolari per l’Italia allo scopo di eliminare un ostacolo sulla strada che Renzi segue per arrivare alla riforma di un Senato declassato e non elettivo, rappresenta la conferma della fine dell’autonomia e dell’identità politica della vecchia area centrista autonominatasi Terzo Polo.
Questa fine, ovviamente, non segna la scomparsa fisica di questa componente politica. Perché nell’attuale Parlamento i deputati ed i senatori che fanno parte dei diversi gruppi dell’area non sono affatto volatilizzati, ma rimangono ben abbarbicati ai loro seggi conquistati in una tornata elettorale tenutasi da soli due anni ma che sembra vecchia di alcuni decenni. Segna, però, la scomparsa politica di un’area che, come ha dimostrato plasticamente il risultato delle recentissime elezioni europee, non esiste più nella società italiana se non nella forma di qualche residuale gruppetto di ex combattenti e reduci della Prima Repubblica.
Il caso Mauro scoperchia ufficialmente la contraddizione tra questa presenza centrista in Parlamento e la scomparsa nel Paese. E solleva apertamente l’interrogativo su quale potrà essere la sorte, non più politica ma solo personale, dei deputati e senatori di una Scelta Civica passata dal 9 allo 0,7 per cento, di un’Udc incistata alle Europee dentro il Nuovo Centrodestra ma già pronta con il suo striminzito uno per cento a cercare nuovi approdi, di quel che resta dei Popolari per l’Italia fedeli a Mauro e dello stesso Ncd che difficilmente ora può fare asse con un partito dell’Udc divenuto, a detta dell’ex ministro della Difesa, “sicario” di Renzi. Chi pensa che questa massa considerevole di deputati e di senatori sia destinata a confluire in gran parte nel Partito Democratico, cioè nel partito che alle elezioni europee ha raccolto la stragrande maggioranza del vecchio elettorale post-democristiano, sbaglia di grosso. I centristi, sia quelli di provenienza Dc che quelli di provenienza montiana, avranno perso gli elettori ma non hanno perso la testa ed il loro istinto di sopravvivenza personale. Per cui è facile prevedere che manterranno fino al termine della legislatura le loro sigle, ormai vuote di ogni significato reale ma buone per conservare gruppi parlamentari autonomi.
Eviteranno accuratamente ogni fusione nel partito renziano per conservare i posti di Governo altrimenti destinati ad essere consegnati al Pd. E, dopo aver trascorso il resto della legislatura a comportarsi come i più renziani dei renziani (il caso Mauro insegna) cercheranno di giocare la carta dell’alleanza elettorale con il partito del Premier alle prossime elezioni, per sperare di poter strappare alle benevolenza di Renzi un piccolo premio di consolazione rappresentato da qualche poltrona parlamentare.
Ma che fine faranno quelli che non intendono accettare questa sorte e rimettersi alla bontà del Premier per poter continuare ad avere lo stipendio da politico? La risposta sembra scontata. O la marginalizzazione definitiva in qualche sigla residuale centrista con la certezza assoluta di non avere alcun futuro, o il ritorno ad un centrodestra alternativo alla sinistra e pronto per il bipolarismo maturo. Un ritorno, però, che non potrà in alcun caso prevedere il sacrificio del vitello grasso dovuto al figliol prodigo. Perché in questo caso ci sarebbe poco da festeggiare e molto da selezionare!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28