
Il 46 per cento della disoccupazione giovanile è decisamente superiore al 40 per cento dei voti ottenuti da Matteo Renzi alle recenti elezioni europee. Ma al momento sembra pesare molto meno. Il dato di un disagio sociale così clamoroso e drammatico risulta essere meno rilevante rispetto ad un dato elettorale interpretato come un atto di fiducia plebiscitario nei confronti di un Premier concepito come provvisto di quelle capacità salvifiche e miracolistiche indispensabili per l’uscita del Paese dalla crisi.
È difficile prevedere per quanto tempo ancora l’ubriacatura elettorale riuscirà a nascondere i duri dati della realtà. Ma è certo che, presto o tardi, i fumi del 40 per cento si dissolveranno. E se nel frattempo Matteo Renzi non avrà fornito prove concrete delle sue presunte capacità salvifiche e miracolistiche, saranno dolori.
Il Governo sembra consapevole di questa esigenza. E con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha sottolineato la necessità di realizzare al più presto riforme strutturali e con la ministra Maria Elena Boschi ha presentato una nuova proposta per la riforma del Senato.
Ma se il buongiorno si vede dal mattino, stiamo di sicuro andando verso la notte più fonda. Perché il ministro dell’Economia recita la litania, che risale all’inizio degli anni Sessanta, sulle riforme di struttura, ma non chiarisce quali dovrebbero essere queste riforme capaci di rivoluzionare l’assetto strutturale del Paese. La sua unica indicazione concreta riguarda le privatizzazioni di Poste ed Enav, che dovrebbero garantire entrate dello 0,7 per cento nei prossimi anni. Cioè il nulla del nulla che forse servirà ad innalzare mediaticamente la bandiera di privatizzazioni fasulle, ma che non inciderà in alcun modo sul fenomeno della disoccupazione. E la ministra Boschi, nel tentativo di rassicurare la minoranza interna del Partito democratico garantendo che la riforma del Senato sul modello francese trasformerà Palazzo Madama in una “casa rossa”, ha avanzato una proposta di riforma del bicameralismo che non è solo patetica, ma che è anche e soprattutto ridicola.
Se queste sono le riforme con cui Renzi vuole fare i miracoli stiamo dunque messi molto male. E non è complicato pronosticare che alla fine del semestre europeo di presidenza della Ue, in cui il nostro Presidente del Consiglio si esibirà in numeri di alta comunicazione imbonitrice, il 46 per cento della disoccupazione, insieme a tutti gli altri indicatori di segno gravemente negativo dell’economia nazionale, tornerà legittimamente a prendere il sopravvento sul 40 per cento elettorale di Renzi.
Il rischio che i prossimi sei mesi vengano buttati al vento in semplici operazioni d’immagine è molto alto. E quelle forze sociali come la Confindustria, che al voto hanno puntato su Renzi magari turandosi il naso e che ora si accorgono della drammatica condizione del Paese, dovrebbero per prime denunciare il pericolo rappresentato da un Governo che non sa cosa fare tranne nascondere mediaticamente le proprie incapacità e la propria inadeguatezza.
Accanto a queste forze sociali spetta poi alle forze politiche d’opposizione lanciare una grande campagna di verità sulle false illusioni costruite attorno al voto europeo. In particolare i partiti del centrodestra, sia quelli che stanno nella maggioranza, sia quelli che sono collocati all’opposizione responsabile o dura, hanno un’occasione irripetibile per ritrovare la propria identità e la propria compattezza su un programma concreto di riforme reali e di ripresa concreta dell’economia da contrapporre al nullismo renziano.
Per loro questa potrebbe essere l’ultima occasione. Perché se non sono capaci a diventare l’alternativa credibile al Premier gonfiato con gli estrogeni mediatici, il loro posto sarà occupato da Beppe Grillo. Che non è affatto morto, ma vive e lotta. Contro il sistema!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28