
Uno Stivale come argine. Nella batosta generale, gli ambienti bruxellesi riscoprono un Paese affidabile. La frenata dei grillini e le percentuali democristiane a un partito di governo (e a questo di punto anche di lotta, se è vero come dicono che gran parte dei 3 milioni di voti persi dal M5S sono andati a Largo del Nazareno) stride con l’esondazione anti Ue nel resto della compagnia. E che compagnia. Gran Bretagna, Francia su tutti, ma anche Spagna, Danimarca, Grecia, e mettiamoci pure la destrissima Ungheria.
Altro che sorrisini, questa Europa riparte dalla scelta europea di un’Italia che questa volta non ha tradito. Ora che dell’asse Germania-Francia restano solo macerie, ora che l’inconcludente Cameron dovrà fare i conti con qualche problemino interno; ora che in Spagna e Grecia i moderati al governo si sentono un po’ più soli, ora che in Danimarca e Ungheria il populismo si affaccia o si conferma pesantemente sul proscenio politico Ue; e soprattutto ora che la Cancelliera vince solo a casa sua.
Mentre gli altri sbracano, dunque, l’Italia, negligente, parolaia e inaffidabile, invece tiene. E lo fa anche, perché no, sull’affluenza, a guardare il 36 per cento di votanti nel Regno Unito, il 43,5 in Francia, il 44,7 in Spagna, il 34,5 in Portogallo, per non parlare del disastro nell’Europa dell’Est (solo il 13 per cento in Slovacchia, 22,7 in Polonia, 34,7 in Romania, la media del 34,5 nelle Repubbliche Baltiche, 21 in Slovenia, 24 in Croazia, 40 in Bulgaria). Strano ma vero, dunque: sembra proprio che l’unica possibilità che Madrid, Atene e Parigi hanno di convincere Berlino a mollare un po’ la presa sull’austerità è quella di guardare ai palazzi romani con più attenzione e meno superficialità. “Tutti i leader politici, a livello europeo e nazionale, devono riflettere sulle loro responsabilità”, ha detto l’uscente Barroso il giorno dopo la tempesta perfetta. E sono responsabilità pesanti per quei Paesi che credevano di poter incidere maggiormente nella stanza dei bottoni. Con una Merkel isolata e Paesi come Francia, Gran Bretagna, Spagna e Danimarca in pieno psicodramma da euro batosta, l’Ue guarda con speranza al voto italiano e al successo storico del Pd. A Bruxelles, questa volta, hanno preso volentieri nota dell’“anomalia italiana” dopo una notte da incubo per il progetto comunitario e l’ortodossia rigorista. E ad annusare l’aria dalle parti di Rue de la Loi emerge più o meno questo: mentre negli altri Paesi core dilaga la protesta, in Italia, dove “poteva accadere di tutto” (come ha fatto notare lo stesso Matteo Renzi) vince un partito di governo e arretra il voto anti Ue.
Gli elettori, spiegano fonti comunitarie, hanno detto no all’avventurismo dei partiti eurofobici e hanno “consegnato” la protesta al Pd. Come dire: caro Matteo, siamo incavolati neri, ma non cediamo alla tentazione di votare i populisti che non ci porteranno da nessuna parte. Per Bruxelles, quello italiano è un “voto sorprendentemente maturo”. Strano, ma vero: in questo momento l’Italia del super debito e ancora senza le necessarie riforme strutturali invocate dalla troika, può comunque essere d’esempio a tutta la sgangherata eurocompagnia. Perché nonostante i problemi, l’astensione, il malessere e la sfiducia, nel Paese ha vinto il partito di governo. In questo senso, secondo quanto filtra da ambienti europarlamentari, “Francia e Inghilterra non potranno ancora permettersi di darci lezioncine”, poiché avranno molto da riflettere sull’ascesa dei vari Farage e Le Pen.
Nel disastro globale, si dice nella capitale d’Europa, gli italiani hanno dimostrato di avere una “coscienza davvero europea”: non si sono lasciati andare al “tanto peggio tanto meglio”, come hanno fatto altri Paesi, forse si sono pure turati un po’ il naso, ma hanno votato per un progetto, un progettino magari. Sempre meglio del caos. Un colpaccio vero, dunque, nella depressione generale, per un Paese che, per dirla con l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, “ha vinto due volte: su se stesso e in Europa”.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19