Prospettive a destra: un voto “drammatico”

Adesso che i dati sono definitivi, i sempre ben informati verranno a raccontarci che il risultato era ampiamente prevedibile e che avevano già fiutato nell’aria i trend elettorali. C’è una certa categoria di italiani (i commentatori) che ama sentirsi cane da tartufo e fine analista, ma in realtà è la stessa risma di scribacchini che l’altro giorno tratteggiava un sicuro crollo di Matteo Renzi accompagnato da una schiacciante vittoria di Beppe Grillo.

Diciamocelo con chiarezza: il risultato coglie tutti di sorpresa, probabilmente anche i protagonisti della competizione elettorale. Ciò non significa che esso non sia spiegabile ed infatti cominciamo col dire che un risultato così rotondo del Partito democratico non è altro se non una chiara apertura di credito verso Renzi, che prometterà pure panem et circenses ma almeno arriva con i soldi in bocca ad allietare l’italico gargarozzo. Gli italiani sono molto sensibili a certe tematiche e ti danno guazza fino a quando intravedono una convenienza per poi levarti tutto se avvertono la fregatura. Sta adesso a Renzi mantenere le promesse; data l’enormità delle balle sparate, siamo sicuri che non ci riuscirà e che quindi il successo abbia i mesi contati.

Qualche malizioso dirà che il voto degli italiani, mendicanti e senza dignità, vale non 80 euro bensì una mera promessa di soldi; ciò in controtendenza rispetto alle gesta di altri popoli europei in grado di ingaggiare battaglie ben più determinate politicamente e culturalmente. Invece la nostra gente è pragmatica e ha pensato che l’unica alternativa a Renzi fosse quella di optare per uno che diceva di voler distruggere tutto senza fornire un progetto logico, che troppo preso ad urlare non aveva tempo di schierarsi pro o contro l’euro rimandando ad un improbabile referendum, che diceva di essere lontano dai vecchi schemi politici mentre inneggiava a Berlinguer, che vaneggiava di stampanti 3d, vivisezioni, Hitler, processi di piazza, energie alternative e menate simili. La protesta senza proposte allettanti non attecchisce in Italia, quel Paese in cui molti hanno iniziato a fare la resistenza quando hanno capito di essere in procinto di perdere la guerra, quel Paese in cui la rivoluzione si fa in ciabatte e telecomando e solo se conviene perché chi ce lo fa fare ad esporci… e che siamo fessi?

Preoccupa invece la disfatta di Forza Italia ma non perché non sia spiegabile, quanto per il fatto che si ha come l’impressione che la lezione non sia servita. Aveva ragione Sandro Bondi quando affermava che il berlusconismo sta terminando sotto il segno di tre fallimenti: la costituzione di un grande partito liberal-conservatore, la modernizzazione del Paese e la rivoluzione liberale. Gli fu risposto che era un ingrato, un traditore e che il leader indiscusso è Silvio Berlusconi. Non è che se nel centrodestra qualcuno alza il ditino debba essere per forza assimilato a gente come Gianfranco Fini ed Angelino Alfano o essere accusato di lesa maestà. Il leader è Berlusconi e questo è un fatto; così com’è innegabile che ci siano dei problemi seri di linea politica, di classe dirigente e di strategia elettorale.

La linea politica cambia almeno una volta al giorno: anti governativi, per le larghe intese, teorici del golpe del 2011, silenti per mesi sull’argomento, accomodanti con Renzi, contro l’euro, a favore dell’euro ma critici, liberisti ma autori di una politica statalista (di cui Tremonti è stato maestro), contro Napolitano ma artefici della sua rielezione, contro la Merkel ma nel PPE, nella maggioranza di Letta e poi all’opposizione, contro Alfano ma pronti ad accomodare tutto, per le riforme ma anche no.

Si potrebbe andare avanti per ore se non fosse che è l’assenza dello spirito del ‘94 ciò che sintetizza meglio il peggior difetto dell’attuale centrodestra. Berlusconi ha fatto impazzire la sinistra per oltre vent’anni (e solo per questo merita rispetto e riconoscenza) perché aveva il grande merito di fornire una prospettiva chiara di società della prosperità contro il becerume confuso degli altri, perché regalava il sogno di un futuro libero ed operoso in contrapposizione al tassa e spendi degli altri, perché era per la fine dello Stato oppressore e sprecone da opporre all’assistenzialismo piatto e triste dei suoi avversari. Questa rivoluzione liberale è morta di politica. Le idee camminano sulle gambe degli uomini, per cui avrebbe dovuto selezionare una classe dirigente in grado di alimentare una corrente di pensiero anche a prescindere dal carisma del leader. Per tutti questi anni ha creduto di bastare ed avanzare, ma così non è o forse così non è più.

I vari conigli mannari, utili idioti, yesman, arrivisti o semplici gregari di cui si è circondato hanno creato un partito chiuso alla società, fintamente dialogante solo in campagna elettorale, borioso come tutti quelli che sono convinti di essere degli statisti e di non aver bisogno di consigli, elitario come tutti coloro che temono la concorrenza delle forze fresche, incapace di meritare perché convinto che tutto dipenda dal capo, avvezzo alle cene elettorali a guisa di captatio benevolentiae (per non dire altro). Questa non è una classe dirigente ma un gruppo di dipendenti sedentari destinati ad ingrassare e perdere i capelli nel mentre battono le mani al capo, sperando di essere cooptati per fedeltà e non per intelligenza. Quelli meno sculettanti sono coloro che portano voti come se avere le bisacce piene di clientes fosse di per sé prova di capacità politica o di “quid” da leader nazionale. Una pena infinita.

E poi la campagna elettorale disastrosa che risponde sempre allo stesso stanco schema del pericolo comunista, del complotto, dell’accanimento, del non mi hanno fatto lavorare, della deriva giustizialista quasi a voler ricattare l’elettorato dicendo “sappiamo che fino ad oggi non abbiamo fatto politica ma siete obbligati a votare per noi perché altrimenti vincono loro”. Dopo qualche anno l’elettore potrebbe dirti “chissenefrega se vincono gli altri” e, a questo punto, l’errore più grosso che si possa fare è quello di non capire ed attribuire tutto alle vicende giudiziarie o all’impossibilità di esercitare la propria leadership. Così si dimostra di non aver recepito il segnale, così non si rinasce, così si continua a dare spago agli obbedienti che, avvalorando acriticamente la tesi della mancata agibilità politica, ammettono implicitamente l’inutilità del loro contributo. La responsabilità del disastro è atroce perché oltre la metà degli italiani non è di sinistra e non si sente rappresentata.

Adesso dovremo sorbirci le stucchevoli analisi sul voto, quel voto nel quale nessuno ha perso, tutti hanno vinto o al massimo hanno tenuto ma presto il centrodestra dovrà tornare a fare politica per non morire. Poi domani riuscirà anche a cooptare il leader giusto ed in grado di guidare la rinascita, ma sarà stata fortuna e non strategia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25