
Basta il pasticcio sulla Tasi per spiegare l’ondata di voti di protesta che si manifesterà con l’astensione e con il sostegno a Beppe Grillo nelle elezioni europee di fine settimana. Tutti gli appelli al “voto utile” e al “voto responsabile” sono destinati ad infrangersi contro la rabbia di un corpo elettorale chiamato a pagare una tassa sulla casa trasformata in un salasso, non solo ingiusto, ma anche faticoso e fastidioso.
L’annuncio che la Tasi si pagherà tra giugno e settembre con modalità ancora tutte da definire e che il suo importo sarà sicuramente superiore a tutte le precedenti tasse sulla casa, segna di fatto la fine della cosiddetta “primavera renziana”. Quella primavera che aveva alimentato in gran parte della società italiana la speranza di assistere finalmente ad un qualche significativo cambiamento e ad un effettivo segnale di reazione alla crisi. È probabile che il Presidente del Consiglio, il quale ha impostato la sua campagna elettorale sulla promessa degli ottanta euro e sull’assicurazione della capacità del proprio Governo di “cambiare verso”, non se ne renda ancora conto. Ma la sua luna di miele con gli italiani viene spezzata brutalmente proprio dalla conferma che nel giro di qualche mese una patrimoniale mascherata e lasciata alla discrezione dei Comuni si abbatterà come una folgore su un Paese già piegato da una recessione interminabile. A nessuno sfugge che chi riceverà gli ottanta euro li dovrà restituire al più presto e chi non godrà di questo beneficio si troverà cornuto e mazziato nei confronti dello Stato. E, soprattutto, tutti si rendono conto che la nuova tassa tanto pasticciata quanto salata dimostra in maniera inequivocabile che il “nuovo verso” renziano è solo uno specchietto per le allodole e per gli allocchi.
Il fatto che la disillusione capiti a pochi giorni dal voto europeo non è affatto indifferente. Perché se già prima le elezioni per il Parlamento della Ue venivano considerate dai cittadini come l’occasione per una sorta di “libera uscita” dalle tradizionali appartenenze politiche e partitiche, adesso diventano il momento più opportuno per esprimere la rabbia e la protesta senza il rischio di provocare uno sconquasso irrimediabile. Le previsioni che parlano di un forte successo del Movimento Cinque Stelle partono proprio da questa considerazione. Grillo sembra essere in grado di cogliere al volo l’onda della protesta che s’innalza proprio nel momento in cui la primavera di Renzi si rivela illusoria e devastante come quelle arabe.
Chi si interroga su quanto potrà avvenire dopo il 25 maggio sa bene che l’ondata emotiva non cambierà gli attuali equilibri politici della legislatura in corso. Ma sa anche meglio che l’effetto psicologico di un’eventuale vittoria di Grillo su Renzi avrà l’effetto di accorciare fatalmente i tempi della stessa legislatura. Non perché non sarà possibile replicare negativamente alle richieste che i grillini faranno di immediate elezioni anticipate. Ma perché risulterà impossibile evitare che il voto si trasformi nel detonatore delle infinite contraddizioni esistenti nel Partito Democratico e nell’attuale maggioranza.
In questa luce non è detto che la fine della primavera renziana sotto i colpi della rabbia raccolta dai grillini sia un male. Il Paese ha bisogno di una scossa. Quella che Renzi non ha saputo e potuto dare. Ma che potrebbe venire se il voto di protesta riuscisse finalmente a far comprendere che, esauritasi la breve parabola renziana, l’unica alternativa al caos rimane un fronte moderato unito sulla necessità di un vero e profondo cambiamento.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26