Chi di speranza vive, disperato muore

Occorre riconoscere che il Premier Matteo Renzi raccoglie consensi e simpatie in settori assai lontani dal tradizionale bacino del Partito Democratico. Anche nell’area cosiddetta liberale non sono pochi coloro i quali ritengono che la sua figura rappresenti l’unica alternativa possibile allo sfascismo dei grillini. Tra gli argomenti a sostegno di tale approvazione vi è il presupposto che Renzi, a prescindere dall’effettiva efficacia delle misure di Governo che sta adottando, sia in grado comunque di offrire una speranza al Paese. Una speranza fondata sostanzialmente su una parola molto ambigua nella nostra democrazia delle banane: cambiamento.

Ebbene, a parere di molti, solo il fatto di dichiarare l’intenzione di cambiare verso, come spesso continuano a ripetere come un mantra le truppe dei rottamatori, da sola dovrebbe essere sufficiente a ridare slancio ad un sistema economico e sociale in perenne crisi. Per questo motivo la tendenza chiaramente espressa dall’ex sindaco di Firenze di fare promesse a 360 gradi viene vista con favore da molti renziani dell’ultima ora.

Personalmente la penso in modo diametralmente opposto. Sono sempre più convinto che all’interno di un sistema ingessato da una burocrazia tentacolare e affetto da un eccesso folle di Stato e di tassazione, l’ultima cosa da fare è quella di illudere i più che si possa riformare tutto senza toccare gli interessi di qualcuno. Perché è proprio ciò che la comunicazione renziana tende a far passare: l’illusione che attraverso una serie di chimeriche riforme tutti saremo più ricchi e più prosperi nell’immediato. Questo significa che le aspettative della sempre più esigua platea di soggetti che operano sul difficile mercato concorrenziale dovrebbero fondersi con quelle del crescente esercito di individui che si aspettano dallo Stato la risoluzione dei loro problemi, occupazione in testa.

Sul piano generale, questo voler far credere che si possa ottenere la quadratura del cerchio in ogni settore del Paese, aumentando addirittura l’intervento pubblico e alleggerendo la burocrazia e la fiscalità che grava sulle imprese e sui consumatori, non può che accelerare un declino che è in primo luogo di natura culturale. Un declino che trova nella perdita di un generalizzato senso della responsabilità individuale forse il suo tratto più evidente.

Sarebbe invece auspicabile far leva sulle capacità, l’inventiva e l’impegno di ognuno per uscire da una crisi di chiara natura sistemica. Una strada difficile e impopolare, che possiamo sintetizzare nel più classico “rimbocchiamoci le maniche”. A conti fatti, solo usando del sano realismo mi sembra possibile sperare di non morire disperati. Il resto sono solo chiacchiere e distintivo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22