Illusi e sprovveduti con i soliti pasti gratis

Appena conclusa la trita liturgia del primo maggio, con i soliti spettacoli equestri e la solita retorica collettivista, il problema della disoccupazione in Italia resta ovviamente tale e quale. Un problema che non potrà mai essere risolto, o ragionevolmente attenuato, da chissà quali piani ad hoc elaborati a tavolino dalla politica, stile Jobs Act renziano - ennesima chimera lanciata sul tappeto dall’attuale Premier. Il tema della mancanza di lavoro fa parte, in realtà, di un discorso complessivo di natura sistemica, e per questo andrebbe affrontato con misure di ampio respiro che non mi sembra proprio siano nelle corde dell’attuale maggioranza di Governo.

In estrema sintesi, se partiamo dal presupposto che il lavoro vero è quello che produce valore di mercato, in Italia andrebbe riequilibrato il rapporto esistente tra chi vive di spesa pubblica e chi invece opera sul mercato medesimo. Dato che le due condizioni sono strettamente correlate in un rapporto inversamente proporzionale, ciò significa che se lo Stato non compie i due famosi passi indietro, riducendo il suo enorme perimetro e liberando importanti risorse, non ci potranno mai essere le condizioni per consentire all’occupazione produttiva di crescere.

Ma quando si parla di soggetti che vivono sotto l’ombrello della mano pubblica non bisogna cadere nell’errore di considerare solo i dipendenti dello Stato in senso stretto, bensì tutti coloro che in un modo o nell’altro –pensiamo all’immenso bacino delle società partecipate – traggono i loro redditi dalla spesa pubblica o, il che è quasi la stessa cosa, da una condizione di monopolio concessa dalla sfera politico-burocratica. In pratica il mondo che orbita intorno ad un sistema pubblico che controlla il 55% del reddito nazionale costituisce l’altra faccia di una fiscalità allargata che impedisce alla componente spontanea dell’economia, ossia l’unica in grado di realizzare ricchezza reale, di sviluppare secondo le proprie, grandi potenzialità. E se una volta il settore del commercio, dell’artigianato e delle piccola impresa costituiva una sostanziale valvola di sfogo per una economia già troppo affetta da un eccesso di spesa pubblica e di tassazione, attualmente i crescenti costi che lo Stato impone anche a chi si azzarda ad alzare una saracinesca sono tali da scoraggiare qualunque forma di intrapresa.

Ma dal momento che chiunque si trovi ad occupare la stanza dei bottoni non sembra far altro che promettere nuovi pasti gratis per tutti, illudendo un popolo di sprovveduti che si possa coniugare il citato eccesso di spesa pubblica con una straordinaria ripresa – per la cronaca sempre dietro l’angolo – non vediamo come possa tornare la nostra antica propensione al rischio d’impresa, così da determinare le condizioni concrete per far lievitare le assunzioni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22