
Ovviamente, nell’imminenza delle elezioni europee, il Premier Matteo Renzi si è ben guardato dal proporre sostanziali ritocchi al più grande capitolo della spesa pubblica: le pensioni.
Al di là della solita e un po’ trita demagogia legata alla perequazione dei vitalizi più bassi, tagliando quelli più alti, il grande rinnovatore – per ora solo delle promesse – non si è spinto. Eppure, conti alla mano, l’Italia continua a spendere in pensioni una cifra insostenibile che, complice la crisi economica, ha ampiamente superato il 16% del Pil, ossia oltre il 30% della spesa pubblica complessiva. Tant’è vero che l’allora sottosegretario tecnico Polillo disse, quando era ancora in carica il Governo Monti, che malgrado la riforma Fornero a regime l’attuale tendenza, in assenza di ulteriori e drastici provvedimenti, avrebbe prima o poi mandato in bancarotta l’intero sistema previdenziale.
Ebbene, mi sembra evidente che un Paese che non cresce, affetto da una progressiva perdita di competitività, non possa permettersi di spendere in pensioni qualcosa come 5 punti di Pil in più rispetto alla tanto demonizzata Germania. Di fronte a così macroscopici squilibri o si interviene, riducendo il gap negativo sul fronte dei costi imposti da una mano pubblica a dir poco feroce sul piano della fiscalità allargata, o si continua a raccontare irresponsabilmente la frottola di un famigerato rigorismo con cui il Nord dell’Europa ci impedirebbe di rilanciare l’economia.
Capisco perfettamente che, all’interno di un quadro politico – all’avanguardia sotto questo profilo – nel quale il consenso è funzione diretta della spesa pubblica, sia quasi proibitivo occuparsi in termini razionali di simili questioni, soprattutto quando esse sono basate su privilegi già in essere. Tuttavia, se in prospettiva vogliamo evitare una catastrofica uscita dell’euro, con una sostanziale ristrutturazione del debito pubblico attraverso la scorciatoia dell’inflazione a due e più cifre, il tema di un regime previdenziale che ancor oggi ci costa un occhio della testa prima o poi si dovrà affrontare. Ma che sia Renzi a farlo, quando gran parte della base elettorale del suo partito invoca misure di tutt’altro tipo, ho qualche dubbio.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22