
Si dice che non debba essere compito dei magistrati valutare le conseguenze politiche dei loro atti. Per cui nessuno può chiedere ai magistrati del Tribunale di Milano, che dovranno stabilire le condizioni degli arresti domiciliari o dei servizi sociali per Silvio Berlusconi in applicazione della sentenza per frode fiscale, di modulare le loro decisioni sulle loro possibili conseguenze politiche.
Una valutazione che se non spetta ai magistrati, che si debbono limitare ad applicare la legge, spetta invece ai dirigenti politici responsabili. Quelli irresponsabili, ovviamente, possono anche continuare a rallegrarsi di aver compiuto, con la forzatura sulla interpretazione della legge Severino intrecciata con il primo effetto della ventennale persecuzione giudiziaria nei confronti del Cavaliere, la mossa decisiva per l’estromissione dalla scena politica del leader del maggior partito dell’area moderata del Paese.
Non si può certo pretendere che gli ottusi e intransigenti sostenitori dell’uso politico della giustizia possano incominciare ad avere qualche dubbio, non tanto sulla moralità quanto sull’effettiva utilità dell’azzoppamento per via politico-giudiziaria operato ai danni del fondatore di Forza Italia. I responsabili, però, non possono fare a meno di riflettere su quanto potrà avvenire dopo il 10 aprile. E ragionare non solo sulla circostanza che per la prima volta nella storia dell’Italia del dopoguerra una competizione elettorale si terrà con la mancata partecipazione di un leader che per vent’anni ha segnato la politica nazionale e che continua a rappresentare un quarto degli elettori italiani. Ma soprattutto su quanto l’estromissione violenta ed ingiusta di questo leader dalla competizione elettorale potrà condizionare gli sviluppi politici del Paese.
Se Berlusconi fosse solo il capo di un partito sia pure consistente ma relegato in un ruolo di opposizione passiva, i suoi avversari e gli esecutori della sua estromissione forzata potrebbero continuare a rallegrarsi di aver disarmato ed incatenato il proprio nemico. Ma Berlusconi non è il leader di un partito ghettizzato fuori dell’arco virtuoso della maggioranza di Governo. È stato e continua ad essere il leader di un partito diventato il solo ed unico puntello di un Presidente del Consiglio che dice di giocarsi tutto sulle riforme promesse e che può realizzare quelle riforme ed impedire il proprio fallimento esclusivamente grazie al sostegno assicuratogli da Forza Italia.
La domanda che i dirigenti politici responsabili, a partire da quanti hanno responsabilità istituzionali come Giorgio Napolitano e Matteo Renzi, è quindi molto semplice: che succede se dopo il 10 aprile il leader su cui poggia la sorte del Governo dovesse perdere completamente la propria agibilità politica? E, soprattutto, è possibile che una Forza Italia privata formalmente della guida politica che dal Governo Monti ad oggi l’ha mantenuta ferma sul terreno della responsabilità e non l’ha lanciata sulla facile prateria dell’opposizione intransigente possa mantenere la linea seguita fino ad ora?
Gli sciocchi, quelli che si rallegrano per le difficoltà del Cavaliere, possono anche infischiarsene di questi interrogativi. Ma chi non ragiona ottusamente deve porsi con urgenza l’eventualità che nel caso il Tribunale di Milano dovesse recidere il cordone ombelicale esistente tra Berlusconi e Forza Italia, un partito privato della sua guida possa uscire dagli argini entro cui si è mosso fino ad ora e puntare a giocare la propria sopravvivenza e il proprio futuro sulla carta dell’estrema radicalizzazione dell’iniziativa politica. Senza Berlusconi il riflusso naturale dell’elettorato di Forza Italia non è, come pensano gli sciocchi, il renzismo (Renzi è sempre il segretario di un indigeribile Partito Democratico), ma il lepenismo all’italiana con FI alla guida del fronte della protesta anti-euro.
Simul stabunt, dunque, simul cadent! Vuoi vedere che i più preoccupati della sorte del Cavaliere siano Renzi e Napolitano?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28