
Non bisogna lasciarsi fuorviare dalla sortite degli intellettuali tromboni della sinistra post-azionista e fondamentalista. E neppure dal sostegno che queste sortite potrebbero ottenere all’interno del gruppo parlamentare del Partito Democratico del Senato. La linea che sta prevalendo all’interno del partito del Premier è quella acutamente fotografata dall’esterno da Pier Ferdinando Casini. Una linea che si sintetizza nella considerazione che per il momento non sia intelligente opporsi a Renzi, ma sia più intelligente assecondare il “pazzo”.
Bersani, D’Alema, Finocchiaro e l’ultimo arrivato Cuperlo, infatti, pur essendo convinti che il Presidente del Consiglio sia in preda ad un’inguaribile follia, avrebbero deciso di non mettersi sulla scia degli attacchi dei professoroni alla Zagrebelsky ed alla Rodotà, ma di piegarsi senza rompersi alle presunte riforme di Matteo Renzi in attesa che la piena passi e si possa tornare alla normalità.
Se si mette insieme questo atteggiamento della minoranza che conta nel Pd con lo spettacolo di piaggeria indecente nei confronti del Premier che viene offerto da tutti i grandi media del Paese, si può tranquillamente concludere che le riforme proposte da Renzi non solo non troveranno grandi ostacoli ma verranno approvate con uno spirito addirittura plebiscitario. Ma è proprio questa eventualità che dovrebbe preoccupare. Perché la “follia” riformista di Renzi può essere la soluzione miracolosa dei problemi del Paese, ma solo a condizione che le riforme proposte siano quelle giuste. E la linea dell’assecondamento del pazzo unita a quella della indecente piaggeria nei confronti dell’Uomo della Provvidenza sembrano fatte apposta per far approvare a furor di popolo anche le riforme più bislacche, purché siano state definite riforme dal redivivo San Matteo.
Il rischio, in sostanza, è che avvenga quanto già avvenuto in passato. Con la sbornia degli anni ‘70 che portò alla creazione di un regionalismo sconclusionato e fatto apposta per creare un immenso, inutile e fallimentare apparato burocratico-assistenziale. Con la stupida furbizia della fine degli anni ‘90 che produsse la modifica dissennata di quel Titolo V a cui oggi giustamente lo stesso Renzi tenta di trovare un adeguato correttivo.
Il rischio, quindi, è che nel clima di sostegno acritico ai propositi del Premier si finisca con l’approvare delle riforme inutili e sbagliate. La prima conferma di questo rischio si è già avuta con la cosiddetta riforma delle Province. Quella che ha cambiato il nome ma non la sostanza dell’apparato provinciale. E che servirà solo ad aumentare la confusione, la conflittualità e l’inefficienza di quel pezzo dello Stato che si voleva eliminare. Ora il rischio si ripropone con la riforma del Senato. Che sarebbe sacrosanta, se fosse diretta senza se e senza ma all’abolizione del bicameralismo perfetto (o paritario, che dir si voglia). Cioè alla eliminazione nuda e cruda dell’Assemblea di Palazzo Madama (ovviamente in un quadro di revisione istituzionale completa e organica). Ma che se serve a mettere in piedi un organismo privo di qualsiasi funzione e di qualsiasi utilità rappresenta una sciocchezza colossale.
Fa bene allora Forza Italia - mentre Grillo si schiera con i professori tromboni nella difesa del vecchio Senato e lo spirito della maggioranza è quello di assecondare il matto - a chiedere che la riforma del Senato sia una riforma seria e non una semplice operazione demagogica. Trasformare Palazzo Madama in un pretesto per sindaci e rappresentanti di regione, per passare qualche giorno al mese di sano turismo romano, sarebbe ridicolo. Così come sarebbe addirittura paradossale riesumare il Senato di nomina regia dello Statuto Albertino, attribuendo al Presidente della Repubblica la facoltà di nominare a proprio piacimento un quinto dei componenti della nuova e totalmente inutile Assemblea.
Attenti, allora. Essere cultori di Erasmo da Rotterdam e del suo “Elogio della follia” non può significare assecondare chiunque si sia messo in testa di essere Napoleone!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29