
Le previsioni si stanno avverando. Forte nella direzione del partito ma debole nei gruppi parlamentari, Matteo Renzi si trova oggi ad affrontare una battaglia decisiva per il proprio futuro politico sul terreno a lui più sfavorevole. La sfida lanciatagli da Pietro Grasso per bloccare l’abolizione del Senato non è una semplice difesa d’ufficio fatta dal presidente dell’assemblea di Palazzo Madama. È il segnale che la minoranza del partito ha deciso di sfruttare i numeri su cui può contare in Senato per lanciare contro Renzi una battaglia decisiva per la sorte del Governo e per il futuro del Partito Democratico.
È probabile che nessuno della minoranza antirenziana punti, alla vigilia delle elezioni europee, a defenestrare il Presidente del Consiglio ed a riconquistare il vertice del partito. Probabilmente il loro obiettivo è semplicemente di costringere Renzi a rinunciare alla pretesa dispotica di fare tutto da solo alla guida del Governo e del partito. E di accettare una gestione più collettiva delle due grandi stanze dei bottoni del Paese. Ma un Renzi condizionato e costretto a fare concessioni e marce indietro sulle riforme promesse (quella elettorale, quella del Titolo V e quella del Senato) sarebbe un Renzi totalmente snaturato. Di qui la conclusione che, anche se non voluta, la sfida della minoranza di cui Pietro Grasso si è fatto interprete è decisiva e non può concludersi con armistizi o compromessi di sorta. A riconoscerlo è stato lo stesso Premier quando ha ribadito la minaccia di “mollare tutto” nel caso la riforma del Senato non dovesse passare. Ed a confermarlo in maniera inequivocabile è stato l’appello contro la presunta svolta autoritaria renziana lanciato dai soliti “professoroni” della sinistra oltranzista e giustizialista guidati da Stefano Rodotà e da Gustavo Zagrebelsky.
Quest’ultima iniziativa non può essere derubricata come la solita sortita delle vecchie glorie del “girotondismo” in cerca di notorietà in vista delle prossime Europee. Si tratta, al contrario, di una vera e propria apertura di un secondo fronte contro Renzi e contro il Governo realizzata con significativo sincronismo con l’apertura del primo fronte da parte di Grasso. Non a caso Beppe Grillo si è affrettato a sottoscrive l’appello dei “professoroni”, vecchie glorie dell’estremismo di sinistra. Anche lui ha compreso che per il Presidente del Consiglio è arrivato il momento più difficile della propria avventura politica. E non vuole perdere l’occasione per ricavare dalle difficoltà di Renzi la spinta decisiva per l’affermazione del Movimento Cinque Stelle alle prossime elezioni europee del 25 maggio.
Il Premier è in grado di sfuggire alla morsa del doppio fronte della minoranza interna e degli estremisti esterni sorretti dai grillini? La sua unica speranza passa dalla speranza di poter contare a Palazzo Madama sui voti di Forza Italia per colmare i vuoti provocati dall’evidente spaccatura verificatasi nel Pd e nella maggioranza governativa. Non a caso si è affrettato a chiedere a Berlusconi il rispetto dell’accordo sottoscritto nell’incontro nella sede del Pd. Ma le condizioni politiche esistenti al momento dell’accordo sono le stesse delle condizioni politiche di oggi? La risposta è sotto gli occhi di tutti. Le difficoltà di Renzi si sono accentuate ed in questa situazione il ruolo del Cavaliere non è più solo quello di sostegno determinante per l’approvazione delle riforme, ma è di elemento decisivo per la sopravvivenza del Governo.
Come dire che senza il voto decisivo di Forza Italia l’Esecutivo va in crisi e Renzi torna a casa. Forse sarà il caso che Renzi e Berlusconi tornino ad incontrarsi in tutta fretta. Per dare un senso al paradosso di una maggioranza che può sopravvivere solo con il sostegno dell’opposizione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26