Premier, cocktail di paura e fortuna

Europee 2014. Non c’è che dire. Il centrodestra non è messo tanto bene, il centro è gravemente malato, il Partito Democratico è un covo di vipere (politiche) e l’antieuropeismo avanza (vedi Le Pen e Grillo).

Il Governo a volte è in affanno, pur benedetto da Obama. Una combinazione tipica da scommetterci sopra. E il competitor (Renzi), praticamente unico, come sta? Renzi, strano ma vero, gode, se non di ottima, almeno di buona salute. Non tanto o non soltanto perché è il più giovane di tutti (che pur conta), ma soprattutto perché la sua collocazione sta esattamente all’incrocio della scommessa. È, diciamo così, il punto apicale di un combinato disposto da cui è abbastanza difficile che ricadano, per lui, conseguenze funeste. Ci riferiamo ovviamente ad un cattivo risultato elettorale del Pd. Perché questo è il vero target, per amici e nemici, dentro e fuori dal Pd.

Il discorso politico più comune verte sull’esito elettorale di maggio e più precisamente sulla percentuale minima sotto la quale Renzi e il suo partito non possono scendere: il 30 per cento. Altrimenti la crisi, a cominciare dal Pd, s’impenna e travolge il Governo. Sopra quell’asticella fatale il Premier può stare tranquillo. Ci sono anche altre varianti, persino prima di quel fatale appuntamento, in un Paese sempre sull’orlo di una crisi di nervi, in una maggioranza sempre appiccicata con lo sputo, senza contare le mai esauste entrate a gamba tesa di certe toghe, dagli effetti (come ben sappiamo) imprevedibili.

Tuttavia, è quel 30 per cento il numero magico di Renzi, a quanto si dice. Ma ne siamo proprio sicuri? E soprattutto, ne è sicuro il diretto interessato? Renzi ha iniziato la sua traiettoria con l’impeto e la determinazione di chi ha come motto “Ora o mai più!”. Ha sbaraccato Enrico Letta in pochi giorni, anche grazie ad un accordo preventivo di ferro con Berlusconi, ha intrapreso un passo di corsa col suo Governo e ha già nel bigoncio qualche cosa buona. Però Renzi non è affatto convinto del numero fatale: il 30 per cento del Pd in quelle elezioni. Lo sa benissimo che parte dei suoi lo attendono al varco. Ma per fare cosa? Forse la crisi di Governo? Promossa dal Pd? Difficile. Certo, Renzi questo lo sa e si batte in giro per il Vecchio Continente, anche con un buon viatico da Obama, per un’Europa molto diversa da quella attuale di impronta franco-tedesca. Riuscirà ad ottenerla se ne gestirà i sei mesi di presidenza? Può darsi. Ma, diciamocelo, che c’entrano le elezioni di maggio? Anche un’ondata euroscettica italiana, in sintonia con quella francese, che effetti veri può avere sulla stabilità e governabilità dell’Italia il cui assetto prezioso è stato acquisito da un determinato Renzi?

Ma da quando in qua le elezioni europee sono considerate decisive, quando tutti sappiamo che al massimo sono un test, una tastata di polso? Che cosa conta realmente un Parlamento Europeo? Pochino. Conta la Commissione, con non pochi suoi spompati componenti che andrebbero davvero rottamati. L’ex sindaco di Firenze non è il tipo che segue gli esempi altrui come certi suoi predecessori. Non è capace strutturalmente di fare passi indietro, figuriamoci se il Pd finisse sotto il 30 per cento.

“Che volete fare – gli direbbe il Premier – mandarmi a casa? Ma a casa ci andiamo tutti, e l’ultimo spenga la luce!”. La paura, ecco il punto su cui fa e farà leva il capo del Governo. La paura del salto nel vuoto che il Presidente del Consiglio gioca come una carta nella manica, ogni qualvolta sopraggiungano snodi cruciali, scelte drammatiche. Ed è in quei momenti che Renzi estrae quella carta, peraltro l’unica da giocare, anche se qualcuno sarebbe tentato di vedere un ipotetico bluff. Chi ha fortuna non ha paura del bluff. Chi ha paura non va a vederlo. È la legge del cocktail. E Renzi lo sa. Perché non ha altre strade se non quella dell’immaginifico vate: Mas!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22