
Alla vigilia della campagna elettorale per le Europee, il quadro complessivo del centrodestra si presenta come un ventaglio di particolari debolezze. Forza Italia continua ad essere quotata attorno al 20 per cento e ad essere il partito maggioritario dell’area. Ma i rischi di una campagna elettorale da portare avanti per la prima volta senza la partecipazione piena e determinante di Silvio Berlusconi non sono ancora calcolabili. E potrebbero portare a trasformare il partito del Cavaliere (continua ad essere tale nella coscienza popolare) nella terza forza politica del Paese dopo il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle.
Il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano non gode di salute migliore. I sondaggi interessati gli attribuiscono una percentuale tra il 4 e il 5 per cento, che in teoria assicurerebbe il superamento della soglia di sopravvivenza. Ma chi vive con l’ossessione di non fare la fine di Futuro e Libertà sa bene quanto sondaggi del genere debbano essere presi con le molle. Prima delle precedenti elezioni politiche l’allora partito di Gianfranco Fini veniva accreditato sopra il 6 per cento e, per questo, considerato l’astro nascente della politica italiana insieme all’altro astro rappresentato da Scelta Civica di Mario Monti. A stare ai sondaggi di comodo i due partiti avrebbero dovuto sbaragliare destra e sinistra e diventare il nuovo polo centrista ed egemone della politica italiana.
Invece tutti sanno come è andata a finire. E quel risultato pesa oggi come un macigno sui pensieri degli esponenti alfaniani, consapevoli che il superamento della soglia del quattro per cento non è affatto scontato e che il suo mancato raggiungimento segnerebbe la loro fine politica. Ma se per Ncd l’ipotesi del mancato raggiungimento del 4 per cento è un’ipotesi angosciosa, per le altre forze politiche del centrodestra è una quasi certezza angosciante. Fratelli d’Italia spera che la svolta anti-euro di Fiuggi possa far intercettare i voti degli antieuropeisti, al momento proiettati su Beppe Grillo. Ma la speranza è appesa ad un filo. Che però può reggere la prospettiva di guadagnare un punto rispetto al 2,30 accreditato oggi, ma è troppo esile per tenere in piedi l’ipotesi del superamento del limite del quattro per cento di sopravvivenza politica. Peggio di tutti, infine, si trovano le formazioni di Casini e di Mauro. Per loro non c’è alcuna possibilità di entrare in Europa, ma solo la possibilità di vivacchiare all’ombra del Governo Renzi fino alle future elezioni politiche.
Di fronte a questo quadro di tante debolezze separate, il buon senso consiglierebbe di mettere insieme le debolezze e formare una forza unica e comune. Insomma di creare un rassemblement di forze diverse del centrodestra in grado di partecipare alle elezioni europee con una sola lista e in grado di contendere al Pd il ruolo di primo partito del Paese. Ma sulle ragioni del buon senso pesano i calcoli di gruppo e personali che si fanno all’interno delle singole forze politiche del centrodestra. Ed è facile prevedere che alla fine questi calcoli avranno la meglio e le tante debolezze andranno, separate, incontro ai loro singoli destini.
Si dirà che le sorti del centrodestra non si esauriranno con le Europee. E questo è sicuramente vero. Ma le prossime elezioni di maggio avrebbero potuto accelerare il ritorno del buon senso nell’area dei moderati italiani. Un ritorno che, alla luce delle difficoltà crescenti della sinistra (quella tradizionale e quella di Renzi), sarebbe sempre più necessario per imprimere al Paese la svolta necessaria ad uscire dalla crisi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:29