
La celebre formula della “Capitale corrotta = nazione infetta” lanciata da Manlio Cancogni su “L’Espresso” nel 1956 si è curiosamente ribaltata. Adesso i giornalisti anti-casta del Corriere della Sera, Paolo Conti e Sergio Rizzo, a commento del caso del decreto ritirato sul “Salva Roma” e della reazione forsennata del sindaco Ignazio Marino, hanno stabilito che non è la Capitale corrotta a rendere infetta la nazione, ma è il paese inadeguato a rendere degradata la Capitale.
Insomma, secondo i Cancogni dei sessant’anni dopo, se “Roma non è Parigi, né Londra, né Berlino è perché l’Italia non è la Francia, non è la Gran Bretagna, né tantomeno la Germania”. Cioè che i guai della Città Eterna non sono altro che lo specchio dei guai del Bel Paese, che non è affatto unito come gli altri grandi Paesi europei, ma che è talmente diviso e frammentato nei suoi localismi e nei suoi egoismi municipalistici e regionali da aver lasciato Roma a marcire nei suoi mali, provocati da una classe politica romana ottusa, provinciale e naturalmente corrotta.
Se questa è la tesi, è chiaro che la colpa e la responsabilità del degrado di una città che, a dispetto della classe politica locale e nazionale, continua ad essere la Città Eterna per l’intero pianeta, sono di tutti gli italiani e di tutti i romani. Il ché può essere anche vero. Ma stabilisce anche che essendo di tutti le colpe e le responsabilità non sono di nessuno. Il ché non è affatto vero. Perché, senza andare indietro nei secoli e limitandosi a guardare il secondo dopoguerra, non è affatto difficile indicare colpe e responsabilità precise. E perché, soprattutto, evitando la ricerca storica e rimanendo fermi alla attualità politica, è fin troppo facile stabilire colpe e responsabilità. Che non saranno certo riconducibili al passato e che, di conseguenza, saranno ridotte e parziali ma che sono ben presenti e andrebbero denunciate e rimosse come primo atto di risanamento prima di affrontare i difetti ereditati dalle responsabilità del passato.
Insomma, prima di scaricare su tutti gli italiani la colpa di aver portato al collasso la Capitale, bisogna partire dal presente e prendere atto delle colpe dell’attuale sindaco Ignazio Marino, del partito che lo ha eletto in Campidoglio e che è lo stesso partito responsabile del ritardo da cui è dipeso il ritiro in Parlamento del decreto “Salva Roma”. Per salvare Roma, in sostanza, da una parte si deve cominciare. E questa parte non può essere la colpa generica del Paese disunito o il buco di bilancio ereditato da Marino da Alemanno, il quale a sua volta lo aveva ereditato dai sindaci precedenti. Deve essere necessariamente il sindaco, che ha alle spalle un anno di mancata gestione, sia per palese inesperienza che per mancanza assoluta di elasticità mentale e politica, ed il partito che prima ha deciso di mandare in Campidoglio un marziano testardo e inadeguato e poi lo ha abbandonato al suo destino lasciandolo solo a giocare con la bicicletta elettrica e mandando alle calende greche il decreto per salvare i conti in dissesto della città.
Insomma, se un processo va fatto non al passato ma al presente, questo processo riguarda Marino ed il Partito Democratico. Che a Roma ha governato per vent’anni, ad eccezione della parentesi inconcludente di Alemanno. E che ha puntato sull’alieno proveniente da mondi lontani per nascondere ciò che la recente morte di Gianni Borgna ha messo in evidenza nei gironi passati: la fine della parabola politica della generazione che dagli anni Settanta in poi ha segnato le sorti della Roma postmoderna. Insomma, partito esaurito, Capitale impantanata!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26