Le misure­-chimera e i pannicelli caldi

In attesa che escano le prime misure ufficiali del nuovo Governo, ciò che emerge dalle esternazioni di Renzi e del suo entourage dovrebbe cominciare ad allarmare chi ha preso come oro colato la promessa di cambiamento radicale del giovane neo-premier fiorentino. Una serie di vecchi proponimenti di maniera vengono riproposti, in verità con una certa faccia tosta, dagli uomini che occupano la cosiddetta stanza dei bottoni. Tra questi spiccano tre storici cavalli di battaglia di un ben conosciuto immobilismo politico: l’utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti per azzerare i debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese; la sempre più chimerica spending review per finanziare gli onerosi impegni finanziari messi in campo da Matteo Renzi; l’introduzione degli altrettanto chimerici costi standard per limitare la voragine di spesa che nel bilancio dello Stato va sotto la voce di consumi intermedi.

Ora, ribadendo che non si tratta di particolari novità programmatiche, se la filosofia politica dell’Esecutivo dei rottamatori è quella di riciclare una serie di inconcludenti specchietti per le allodole, buoni solo a tranquillizzare gli ingenui e gli sprovveduti, stiamo messi molto ma molto male. Per sbloccare un sistema ingessato da un eccesso di Stato, di spesa pubblica e di tassazione occorre ben altro che ipotetiche partite di giro di inesistente liquidità, come nel caso della citata Cassa Depositi e Prestiti. Capisco l’esigenza di Renzi di lanciare dei messaggi forti onde dare una speranza concreta al Paese. Tuttavia, proprio per questo, un minimo di concretezza occorre cominciare a metterla in campo, sempreché si abbia la visione e la capacità di farlo.

Ci troviamo di fronte ad un colossale problema di sistema che non può essere affrontato con i pannicelli caldi di una spending review la quale, proprio come la proverbiale montagna, continua a partorire ridicoli topolini, malgrado il continuo avvicendamento dei vari commissari ad hoc. Allo stesso modo la strada dei costi standard, che mai nessuno è finora riuscito a percorrere, non può bastare per bloccare le enormi ruberie e gli sperperi che si celano dietro gli acquisti pubblici. Se Renzi e i suoi non hanno intenzione di invertire, pur con tutte le cautele imposte da un regime democratico, la tendenza in atto che sta strangolando l’economia italiana, riducendo ragionevolmente il perimetro pubblico, non si caverà un ragno dal buco, come si suol dire. Se questa gente non ha compreso che il coccio rotto di uno Stato che oramai spende e tassa per il 55% del reddito nazionale non può essere riattaccato con qualche misura di superficie, la dura realtà li richiamerà molto presto all’ordine.

Per salvare la nostra capacità produttiva occorre abbattere i costi proibitivi di un sistema politico-burocratico che consente a troppa gente di vivere di spesa pubblica. Ma per farlo è necessario affrontare i grandi capitoli di un bilancio pubblico colabrodo, scontrandosi con l’inevitabile impopolarità che ciò comporta. Al di fuori di ciò, c’è solo Grillo e il “paradigma” argentino.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22