
Non sarà un gelido passaggio di campanella a turbare la luna di miele del Governo di Matteo Renzi con l’opinione pubblica italiana. E non saranno neppure i patimenti di Civati, gli appelli a non sfasciare il Partito Democratico di Bersani, le rabbie compresse dei Popolari per l’Italia e le prime bordate del “fuoco amico” contro i ministri Guidi e Orlando ad intaccare l’ondata di fiducia sulle capacità miracolistiche del nuovo Presidente del Consiglio suscitata da una ben accorta campagna dei media amici e fiancheggiatori.
Ma solo degli adulatori ottusi possono far finta di ignorare che sul nuovo Esecutivo del rampantissimo ormai ex sindaco di Firenze grava un’ombra estremamente oscura e pericolosa. Che non è composta solo dalle oggettive lacerazioni della esigua maggioranza di cui Renzi può disporre, dagli inguaribili risentimenti che il nostro uomo ha scatenato all’interno del proprio partito e da tutti i rischi che possono derivare dall’aver messo in piedi una compagine ministeriale in gran parte inesperta e forse addirittura inadatta. Ma che è formata, anche e soprattutto, dalla assoluta necessità di Renzi di fornire in tempi rapidissimi e senza un solo istante di riposo la dimostrazione di essere sul serio quel folgorante guaritore che ha detto di essere agli italiani.
Il problema è la velocità. Che fino ad ora è stato il tratto distintivo e qualificante dell’azione politica di un personaggio capace di passare nel giro di un anno dalla polvere della sconfitta alle prime Primarie con Bersani all’altare della cacciata di Enrico Letta e della conquista di Palazzo Chigi. Ma che da adesso in poi, se non viene mantenuta e aumentata, rischia di diventare il principale fattore di disillusione e di logoramento del presunto Salvatore della Patria. Naturalmente non bisogna sottovalutare la capacità di mistificazione comunicativa del più giovane Presidente del Consiglio della storia dello Stato unitario. Ma le attese suscitate sulle riforme sono state talmente numerose e forti che, se non dovessero essere rispettate nei rapidissimi tempi promessi, diventerebbero ben presto l’arma preferita e appuntita di tutti i suoi nemici, vecchi e nuovi.
Il caso della riforma della legge elettorale, che doveva essere pronta entro la fine di gennaio e che ora rischia di slittare addirittura al momento dell’abolizione del Senato, è la prima cartina di tornasole delle capacità taumaturgiche di Renzi. La promessa di realizzare come primo provvedimento del Governo proprio la nuova legge elettorale non è eludibile. E non perché in questo caso si deluderebbe Berlusconi e si rischierebbe di mandare all’aria quella maggioranza sulle riforme che è l’unica base solida su cui Renzi poggia la sua ambizione riformista. Ma perché dimostrerebbe all’intera opinione pubblica del Paese di non avere alcuna capacità miracolistica, ma di essere solo un piccolo democristianello fortunato capace solo di raccontare balle sia pure infiorettandole di annunci, promesse e battute fasulle.
Senza riforme e senza rispettare l’impegno di incominciare a farle partendo dall’Italicum, Renzi rischia di perdere il grande credito di cui gode in questo momento. Ma, soprattutto, rischia di assumere di colpo il ruolo di “uomo della palude” con cui ha prima marchiato e poi brutalmente liquidato il povero Enrico Letta. Senza riforme, in sostanza, Renzi finisce automaticamente “lettizzato”. E diventa pronto per subire a sua volta una brutale liquidazione!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27